Mensaje del santo padre Francisco para la Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales

“Siamo membri l’uno dell’altro”

(Ef 4.25)

Dalle comunità dei social media alla comunità umana

Cari fratelli e sorelle:

Poiché Internet è disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso al servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti. Con questo Messaggio, vorrei invitarvi ancora una volta a riflettere sulle fondamenta e sull’importanza del nostro essere in relazione; e riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine.

Le metafore della “rete” e della “comunità”
L’ambiente mediatico è ora così onnipresente che è molto difficile distinguerlo dalla sfera della vita quotidiana. La rete è una risorsa del nostro tempo. È una fonte di conoscenza e relazioni fino a poco tempo fa inimmaginabile. Tuttavia, a causa delle profonde trasformazioni che la tecnologia ha stampato nelle logiche di produzione, circolazione e godimento dei contenuti, numerosi esperti hanno evidenziato i rischi che minacciano la ricerca e la possibilità di condividere informazioni autentiche su scala globale. Internet rappresenta una straordinaria possibilità di accesso alla conoscenza; ma è anche vero che si è manifestato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e pianificata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso prendono la forma di discredito.
Bisogna riconoscere che, da un lato, i social network servono a tenerci più in contatto, incontrarci e aiutarci a vicenda; ma d’altra parte, si prestano anche a un uso manipolatore dei dati personali al fine di ottenere vantaggi politici ed economici, senza rispetto per la persona e i suoi diritti. Tra i più giovani, le statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è stato coinvolto in episodi di cyberbullismo.1
Data la complessità di questo scenario, può essere utile riflettere ancora una volta sulla metafora della rete che è stata proposta all’inizio come fondamento di Internet, per riscoprirne le potenzialità positive. La figura della rete ci invita a riflettere sulla molteplicità di percorsi e nodi che garantiscono la loro resistenza senza un centro, una struttura gerarchica, un’organizzazione verticale. La rete funziona grazie alla condivisione di tutti gli elementi.
La metafora della rete, trasferita alla dimensione antropologica, ci ricorda un’altra figura piena di significati: la comunità. Più una comunità è coesa e solidale, più è animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi, maggiore è la sua forza. La comunità come rete di solidarietà richiede ascolto reciproco e dialogo basato su un uso responsabile del linguaggio.

Chiaramente, nello scenario attuale, la comunità dei social network non è automaticamente sinonimo di comunità. Nella migliore delle ipotesi, le comunità dei social media sono in grado di testare la coesione e la solidarietà; ma spesso rimangono solo in aggregazioni di individui che si raggruppano attorno ad interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, l’identità sui social si basa troppo spesso sul contrasto con l’altro, contro il quale non appartiene al gruppo: è definita da ciò che divide piuttosto che da ciò che unies, lasciando spazio al sospetto e all’esplosione di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che favoriscono anche l’individualismo sfrenato nell’ambiente digitale e talvolta finiscono per promuovere spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra aperta al mondo diventa così una vetrina in cui esporre il narcisismo stesso.
La rete è un’opportunità per favorire l’incontro con gli altri, ma può anche migliorare il nostro auto-isolamento, come una rete che cattura. I giovani sono più esposti all’illusione di pensare che i social media soddisfino pienamente il livello relazionale; questo è il pericoloso fenomeno dei giovani che diventano “eremiti sociali”, con il conseguente rischio di allontanarsi completamente dalla società. Questa drammatica dinamica rivela una grave lacrima nel tessuto relazionale della società, una lacerazione che non possiamo ignorare.
Questa realtà multiforme e insidiosa solleva varie questioni etiche, sociali, giuridiche, politiche ed economiche; e sfida anche la Chiesa. Poiché i governi cercano strumenti giuridici di regolamentazione per salvare la visione originale di una rete libera, aperta e sicura, tutti abbiamo la possibilità e la responsabilità di promuoverne l’uso positivo.
È chiaro che non è sufficiente moltiplicare le connessioni per aumentare la comprensione reciproca. Come possiamo ritrovare la vera identità della comunità essendo consapevoli della nostra responsabilità l’uno verso l’altro anche sulla rete?

“Siamo membri l’uno dell’altro”
Una possibile risposta può essere delineata da una terza metafora, quella del corpo e dei membri, che san Paolo usa per parlare del rapporto di reciprocità tra le persone, fondato su un organismo che le ha unite. “Pertanto, smettila di mentire e di dire senza verità al tuo prossimo, che sono membri l’uno dell’altro” (Ef 4,25). Essere membri gli uni degli altri è la motivazione profonda con cui l’Apostolo ci esorta ad abbandonare la menzogna e a dire la verità: l’obbligo di custodire la verità nasce dall’esigenza di non negare il rapporto reciproco di comunione. Infatti, la verità si rivela nella comunione. Invece, mentire è il rifiuto egoista del riconoscimento della proprio appartenenza al corpo; non vuole donare agli altri, perdendo così l’unico modo per ritrovarsi.
La metafora del corpo e dei membri ci porta a riflettere sulla nostra identità, che si fonda sulla comunione e sull’alterità. Come cristiani, ci riconosciamo tutti come membri dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a vedere le persone non come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone. Non c’è più bisogno dell’avversario di autodefinirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo, come parte integrante e condizione del rapporto e della vicinanza.

Questa capacità di comprensione e di comunicazione tra le persone umane si basa sulla comunione dell’amore tra le Persone divine. Dio non è solitudine, ma comunione; è amore, e quindi comunicazione, perché l’amore comunica sempre, di più, comunica a se stesso per trovare l’altro. Per comunicare con noi e comunicare con noi, Dio si adatta alla nostra lingua, stabilendo nella storia un vero dialogo con l’umanità (cfr Conc. Feccia. Iva. II: Costanza. dogm. Dei Verbum, 2).
In virtù del nostro essere creati a immagine e a metà di Dio, che è comunione e comunicazione del sì, portiamo sempre nei nostri cuori la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a una comunità. “Nulla è così specifico per la nostra natura”, dice san Basilio, “come entrare in relazione l’uno con l’altro, aver bisogno l’uno dell’altro.”2
Il contesto attuale ci chiama tutti a investire nelle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità. I cristiani sono più giustamente chiamati a manifestare quella comunione che definisce la nostra identità di credenti. Infatti, la fede stessa è una relazione, un incontro; e attraverso l’impulso dell’amore di Dio possiamo comunicare, accogliere, comprendere e corrispondere al dono dell’altro.
La comunione a immagine della Trinità è ciò che distingue proprio la persona dall’individuo. Dalla fede in un Dio che è Trinità segue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro. Sono veramente umano, veramente personale, solo se sono imparentato con gli altri. Il termine persona, infatti, denota l’essere umano come un “volto” diretto verso l’altro, che interagisce con gli altri. Le nostre vite crescono nell’umanità mentre passiamo dal carattere individuale al carattere personale. Il vero percorso di umanizzazione spazia dall’individuo che percepisce l’altro come un rivale, alla persona che lo riconosce come compagno di viaggio.

Da like a amen
L’immagine del corpo e dei membri ci ricorda che l’uso dei social network è complementare all’incontro in carne e ossa, che avviene attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete viene utilizzata come estensione o come previsto da quell’incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia utilizza la rete per essere più connessa e quindi è a tavola e guarda negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina le proprie attività attraverso la rete, e poi celebra insieme l’Eucaristia, allora è una risorsa. Se la rete mi dà l’opportunità di avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o sofferenza fisicamente distanti da me, di pregare insieme e cercare insieme il bene nella riscoperta di ciò che ci sconvolga, allora è una risorsa.
Possiamo così passare dalla diagnosi al trattamento: aprire la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo, una rete fatta non per catturare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, in cui l’unione non si fonda sui like ma sulla verità, sull’amen con cui ciascuno aderisce al Corpo di Cristo accogliendo gli altri. Ω

Franciscus
Vaticano, 24 gennaio 2019,
Festa di San Francisco de Sales.

Note
1 Per reagire a questo fenomeno, sarà istituito un Osservatore Internazionale sul Cyberbullismo con sede in Vaticano.
2 Regole ampie, III, 1: PG 31, 917; Afl Benedetto XVI: Messaggio per la 43ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (2009).

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