Servizio sanitario

L’anno in cui non c’è stato un anno (2018) ci dice due cose.
In primo luogo, che il suo regista, Fernando Almeida, il regista di questo documentario, ha grandi pretese. Questo bisonte autoprodotto probabilmente non ha visto molti film in vita sua e non ha nemmeno la minima idea di come realizzare un materiale del suo genere nel genere della saggistica, ma ancora, con il suo telefono, è in grado di realizzare progetti di sottile bellezza, come quelli in cui è sufficiente posizionare la sua macchina fotografica in un modo che la risorsa dei puntini di sospensione visivi e della voce fuori campo dica tutto. Di questo materiale, tranne la modalità scuola in cui culmina – con quel ringraziamento in stile power-point, che finisce per ferire quasi tutto – i disallineamenti nell’illuminazione di alcuni aerei in movimento e anche altri, senza suono diretto, che confermano chiaramente che questo film non ha fatto bagni di post-produzione, tutto il resto è curabile e merita il mio riconoscimento.
La concezione del piano istiga il coinvolgimento dello spettatore con la storia, prega con una prospettiva adeguata pianificando di coinvolgere le sue componenti dell’enunciazione, pregare staticamente o in una posa trasandata. Nell’uno o nell’altro disco il design della fotografia non è disdeocito; i suoi frequenti salti temporali non perdono miracolosamente la fluidità del discorso – qualcosa di molto raro nel lavoro di un primo timer – anche se il montaggio fa uso di scene francamente usa e getta e di altre di una colossale puerilità, come quella del segno che intende, senza l’enfasi, la cacofonia del messaggio estetico. L’anno in cui non c’è stato un anno si è basato sulla testimonianza collettiva che, nella sua inesperienza eriana, rilascia stampedes – non parole – come quelle delle pistole a bruciapelo. E come suonano!
In secondo luogo, che il servizio militare di Fernando Almeida gli ha lasciato un gustillo, un amore – diciamo “spericolato” – per il TNT. Il suo documentario e un branco di dinamite pura sono la stessa cosa, ma di quelli che esplodono davvero e non lasciano vivo un cristiano. Non mi interessa polemizzare qui se questi ragazzi hanno ragione o meno, nel loro modo di capire fino a che punto l’applicazione, come legge, del servizio militare obbligatorio a Cuba – tra l’altro, non è esclusiva del nostro Paese perché in altre aree geografiche del mondo, come la Svizzera lontana e neutrale, per esempio, è anche obbligatoria per legge. , ma evidenzia ciò che batte dopo non conformità e posizioni di denuncia: il volto non visibile da ciò che un tempo era indicato nel discorso ufficiale – e ulteriormente assimilato – come un dovere sacro.
Soddisfare la “chiamata della patria”, ci dice un soldato, ha lo stesso sapore di un’ironia che a nulla tenta la sovversione; piuttosto, emerge la sincera ingenuità di coloro che alzano le spalle perché si preoccupano davvero – vorrei che fossero loro – di dormire a casa, in un letto caldo e ben bagnato. Alcuni, come Fernando, hanno avuto la fortuna di trascorrere il “differito” rivedendo vasi spirituali o raccogliendo larve di zanzara; altri, come quello che fu imprigionato per aver difeso il suo compagno dalle ingiustizie del potere, ebbero un momento peggiore.
Si vede questo documentario e non si deve più essere d’accordo per quello che dice ma nel modo in cui lo dice, si fa un crono ben prima di ogni testimonianza che cancella ciò che molti preferiscono ancora non riconoscere: in tempi in cui la post-ideologia è di moda, ecco lo spirito di una generazione disincantata che non crede più, nel bene e nel male , o la madre dei pomodori. Lo dico nel senso migliore del termine. Vivi il presente e il punto; l’impegno di un tempo, l'”adempimento del dovere”, tutto questo è prosa.
Anche se Fernando Almeida dovrebbe sapere che Cuba non è il Costa Rica, il benvenuto è il suo documentario. Nell’ultimo ICAIC Young Show non è riuscito a competere nel gruppo selezionato di coloro che aspiravano a qualche premio, ma abbiamo potuto apprezzarlo nella mostra collaterale di Bonus. Con il suo disegno di legge minimale, questa piccola nota ci invita a riflettere se siamo preparati o meno, prima di cambiare tutto ciò che deve essere cambiato, per qualcosa di più importante: saper identificare bene, prima di tutto, quali sono le cose reali che devono essere trasformate. Ω

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