Una benedizione moltiplicata

Molti sono i sentimenti che popolano queste linee. Quando mi vengono in mente i ricordi della Giornata Mondiale della Gioventù, cerco di catturarli in modo che una parte di essi sia irrimediabilmente lasciata in queste righe.
Questi piccoli quartieri inizieranno parlando di un sogno. Un sogno lungo e caro è nato improvvisamente nel cuore di coloro che non hanno mai perso la speranza di condividere e contrastare la loro fede con i fratelli di altre culture, realizzando quel dialogo con la Chiesa universale a volte astratta.
Deve essere, quindi, perché questo sentimento di isola – con la ben nota circostanza dell’acqua ovunque – è inscritto con noi dal cordone ombelicale, che il primo riferimento di questo testo è per i giovani cattolici del mondo. Fino alla nomina a Panama, credevo che i cattolici fossero una minoranza sopraffatta dalle frequenti crisi all’interno delle nostre strutture e con poca vitalità per sostenere la nostra proposta in un mondo segnato da tante distrazioni. Oso assicurarvi che dal nostro arrivo all’aeroporto di Tocumen alle invasioni della Cinta Costera o ai continui crolli della metropolitana, ogni spazio mi ha collegato con migliaia di giovani che hanno proclamato la loro fede, condiviso le loro testimonianze e sognato quella felicità superiore che può venire solo da nostro Signore Gesù Cristo.
Sento che le delegazioni di Messico, Argentina, Brasile, Cile, Stati Uniti, Nicaragua, Polonia, Uruguay, Repubblica Dominicana… riescono a malapena a immaginare l’impronta che hanno lasciato in circa cinquecento cubani. O i tempi in cui abbiamo tranquillamente fatto eco alle loro canzoni, dinamiche, giochi o esperienze.

Catechesi al Javier College

Anche la narrazione dei miei sogni non può dimenticare le masse, con consacrazioni in più lingue, danze di rito africano o cori multiregionali; né trascura la liturgia che è riuscita ad armonizzarsi con la catechesi impartita dai vescovi, l’esperienza sensoriale di osservare i miracoli di Cristo nella terza dimensione o quelli di una fiera gigante che ha mostrato come ogni carisma, ordine religioso o associazione laico si sta consolidando con l’impulso che l’amore di Dio fornisce loro.
Direi anche che il Parco del Perdono è stato l’occasione per una confessione che ha ripristinato il legame lacerato, o che è servito alla riconciliazione tra i fratelli che si guardavano con disgusto, ed era il ponte necessario per rinnovarci con la forza che guida la misericordia. Non c’era tempo per ballare, cantare, pregare o conversare con i giovani di tutta Cuba, uniti in un raro tipo di palestra-camera da letto dove cresceva l’affetto per gli altri con il passare dei giorni, e dove l’assenza cominciava a sentire quando, a poco a poco, i primi pellegrini che tornavano a casa se ne andavano.
Parlerei di un viacrucis dove Cuba ha recitato in un’intera stazione e della gioia che lo Spirito Santo ci ha messo nei nostri cuori, quando Campo Santa María la Antigua ha ascoltato i nostri desideri di comunione, sollevati, accanto alla croce pellegrina, da un gruppo di ragazzi che ci ha riempito di orgoglio.
Non posso dimenticare l’accompagnamento di suore, seminaristi e sacerdoti, che sono diventati una sorta di pellegrini attivi, infettandoci e generando un impulso che chiedo a Dio di moltiplicare in ciascuno dei suoi servitori. Parlerò dei genitori Jorge Luis, Marcello, Gesù, Dariel, Theo, Bladimir, di monsignor Alvaro Beyra Luarca; anche di coloro che sono venuti a capo delle diocesi di Bayamo-Manzanillo e Guantánamo-Baracoa, che hanno guidato i propri e quelli che hanno incontrato durante il viaggio. La mia ipotetica scrittura non smetterebbe di menzionare due brigidina (Luciana e Bennet), una Figlia della Carità (Suor Iyala), altre sorelle che non sapevo, ma che vengono in mia memoria per la cura delle madri che hanno fatto il fusto.
Quando sembrava che il cammino non potesse essere superato, che tanti momenti di incontro e di fraternità avessero raggiunto il suo culmine, Dio – nella sua infinita abbondanza ai suoi figli – decise di darci un altro dono. Alcuni erano scettici, altri costantemente interpelli nella loro preghiera, ma eravamo tutti profondamente commossi quando il Successore di Pietro fu mostrato nella cappella dove abbiamo celebrato l’Eucaristia. È vero che giorni prima lo abbiamo visto entrare nella Nunziatura panamense, dove abbiamo aspettato ore per il suo arrivo, avendo in anticipo l’enorme privilegio di essere la delegazione più vicina al luogo in cui riposava. Francesco sorrise vedendo così tante bandiere cubane e rimase a guardare dal papa mobile. Ma una tale buona immagine è stata superata dalla sua benedizione ai giovani cubani, dalla sua lezione di umiltà davanti al Cristo che abita nella specie del pane e del vino e dalle sue parole ispiratrici, che hanno trovato eco in una santiaguera che esprimeva nella propria voce il sentimento di tutti i presenti nel Collegio.
Dopo di che, ricordo solo l’eccitazione del mio amico Miguel, che sgattaiolando sotto la guardia svizzera riuscì a mettere il cappello sul Papa; o le lacrime sentite di Cachita, che potrebbe toccarlo; o la felicità traboccante di Lolo, che si sentiva benedetto. Quella notte sicuramente il nostro Padre dei Cieli ricevette tanti ringraziamenti quanti erano le emozioni rimaste tra di noi.
Tuttavia, c’era ancora qualcosa da vivere: la Veglia con il Santo Padre. Mi commosse il momento in cui il campo San Giovanni Paolo II, preso da centinaia di migliaia di giovani cattolici provenienti da tutti i continenti, fu immerso in un bellissimo silenzio. Il Santissimo è venuto da noi. Era tempo di mettere in lui tutti i nostri desideri, i nostri impegni, i desideri profondi che avevamo, le intenzioni per il futuro di ogni nazione. Quella notte abbiamo dormito in quel campo. E poco importava della brezza fredda che veniva dal mare vicino, del disagio, delle ore di stanchezza che già si accumulavano: ci siamo trovati di fronte a un’esperienza che ci ha riempito di una misteriosa sensazione di pienezza, impressione con cui marciamo verso casa, e che sicuramente ha influenzato il messaggio di speranza che abbiamo trasmesso a chi è stato colpito dal recente tornado all’Avana.
Non credo che i miei fratelli mi perdonerebbero per aver dimenticato quella che forse molti ricordano come la cosa più speciale dell’incontro giovanile mondiale. Mi riferisco all’accoglienza delle famiglie panamensi. Coloro che non hanno esitato a trattarci come figli propri, quelli che amavano e in non poche occasioni hanno coccolato i cubani, che dalla prejornada di Colombo hanno portato il meglio di sé per completare gli estranei.
Continuo ad ammirare la grandezza con cui questo popolo ha riconosciuto che il Giorno era una buona cosa. E non sto parlando solo dello slancio economico che certamente hanno ricevuto con l’arrivo di così tante persone nella nazione di pesci e farfalle. Ricordo con particolare gratitudine la musica cristiana che si sentiva in molti esercizi commerciali, l’importanza che i media e la politica annesse alla promozione dei valori cristiani nella formazione dei cittadini, il modo in cui le persone esprimevano il loro malcontento nei confronti di un pastore evangelico che li incoraggiava a ignorare l’evento che tanto amorevolmente ha coinvolto lo sforzo congiunto di un intero Paese.
I pellegrini saranno sempre legati a un affetto speciale per quella regione. Pertanto, prima che le prossime lettere diventino bucoliche, manterrò il testo che abita nella mia memoria, che posso scrivere a memoria, ma che è incompleto in queste pagine, perché le righe mancanti possono essere completate anche dall’esperienza personale di ogni giovane, perché le testimonianze sarebbero inesauribili e la gratitudine sarebbe in ogni momento. D’ora in poi c’è la preghiera per i giovani cattolici cubani di essere una Chiesa viva, di prendere la benedizione rappresentata dalla Giornata Mondiale della Gioventù Panama 2019 e di poterla irradiare in ogni angolo che richiede la carità e l’amore di Dio. Ω

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