Omaggio al caro monsignor Jaime, che mi ha aiutato a valoriare la fede

Cardenal Jaime ortega
Cardenal Jaime Ortega
Cardenal Jaime Ortega

-Mamma, non possiamo parlare con monsignor Jaime per cambiare l’ora della Messa? Non riesco mai a vedere le bambole.
Ricordo il sorriso avaro di mio padre e la rapida partenza di mia madre: “Chiedilo tu stesso”.
Sabato, il vescovo di Pinar del Río è arrivato con qualche minuto di ritardo per la messa per sette parrocchiani a San Diego de los Baños: “La diga stava crescendo e abbiamo dovuto voltarci. Iniziamo la celebrazione.
Alla fine, come era consuetudine, la piccola comunità incontrò il vescovo-parroco per parlare e avere un succo, che monsignor Jaime trovò sempre molto dolce. Quel giorno, né breve né pigro ho aspettato la mia richiesta “ragionevole”. Al quale egli, con tono solenne e guardandomi dritto negli occhi, rispose: “È bene che tu abbia rinunciare alle bambole per essere venuto a Messa. Dovrai rinunciare a cose più importanti di quella nella tua vita a causa della causa di Gesù Cristo”.
Sono stato lapidato e per mesi sono tornato a quelle parole, non ero molto convinto, fino a quando, quando sono stato nominato Arcivescovo Giacomo arcivescovo dell’Avana, sono andato alla rivincita con il prossimo parroco, che era anche il vescovo, e ho ricevuto la stessa risposta.
La vita più che mi ha dimostrato la validità delle parole di questi uomini di Dio, e l’ho ringraziato per l’Altissimo per avermi dato lucidità e forza per rinunciare alle vignette (mio padre non mi avrebbe mai permesso di andare alla Messa obbligatoria), perché certamente il follow-up di Gesù Cristo ha fornito prove maggiori, e questo è stato un primo addestramento.
Ricordo come le omelie di monsignor Jaime riuscirono ad iniziare la paura di più di un sandieguero, che prima sedeva nel parco di fronte al tempio, poi alla porta, poi sull’ultima panchina, e infine, sulla seconda o sulla terza. Ricordo anche come stavo cercando di interagire con insegnanti e manager della mia scuola elementare che stavano cercando di farmi abbandonare le mie “pratiche oscure, flagelli del passato”.
La vita del cardinale Jaime Ortega è stata quella di un pastore sollecito, che ha optato per il dialogo con quelle di tutte le banche, e ha provato il difficile compito di servire come ponte, che, secondo le sue stesse parole, è realizzato con gli stessi materiali di un muro, ma serve a unire banche separate, piuttosto che salire a realtà separate. Il ponte è fatto per essere calpestato, in contrasto con il muro, per stare sopra le persone. È l’unica dinamica che ti permette, anni dopo quelle “lotte” degli anni Settanta, di avvicinarti alla stessa insegnante, la cui figlia era nello stesso reparto maternità di mia moglie e dire: “Ho pregato per Yuly e il bambino”, e scoprire con gioia che dice: “Quanto ti ringrazio!
Un vescovo cubano ha raccontato di non aver mai visto suo fratello cardinale felice come ai tempi in cui si trovava nella sua diocesi rurale, poco prima del suo ritiro, e lo ha accompagnato in comunità recentemente fondate in luoghi remoti e abbandono tradizionale. “Questo è ciò per cui Jaime è nato!”, Ha detto, “essere semplicemente tra i fedeli, raccontare loro storie e predicare. Ero felice da bambino!
È stato un sacerdote stretto, un uomo di dialogo, un coltivatore dell’unità della Chiesa e un fervente cubano deciso a fornire il contributo della fede cristiana alla società. In tutto questo ha commesso errori, per alcuni, quasi grandi come i suoi successi, ma non si è mai fermato, come uno che persevera nella vela “mare interno” (Lc 5,4).
L’audacia lo portò a cose impensabili all’epoca, come la fondazione di periodici all’inizio del “Periodo Speciale”, mediando nella dura Cuba-Stati Uniti per ripristinare le relazioni diplomatiche, o fondando un Centro per gli Studi Superio-res per continuare il lavoro educativo che padre Varela fondò nello stesso edificio.
Il Signore, nella sua infinita Misericordia, riceve ora il teppista nato a Jagey Grande il 18 ottobre 1936, figlio di Adela e Arsenio, che rispose alla chiamata di Dio ad essere sacerdote, al quale era accusato di alte responsabilità, e per il quale, conoscendosi come insufficiente alla fine, scelse come motto: “La mia grazia è sufficiente” (2 Cor 12,9).

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