La filosofa Mary Baker Eddy condannò nel 1875: “La stampa diffonde inconsapevolmente molti dolori e malattie tra la famiglia umana. […] Un nuovo nome per un disturbo colpisce le persone tanto quanto un nome parigino per l’abbigliamento alla moda. Tutti si precipitano a prenderlo. [1] Salvare le distanze con questo pensiero, dopo che il Covid-19, meglio noto come “coronavirus”, che emerge nella città cinese di Wuhan, è stato scoperto l’8 dicembre, è iniziato con l’inaudita diffusione del virus la diffusione esplosiva di una fobia globale. Certo, è importante riconoscere la gravità del problema e non minimizzarlo, ma è necessario ribadire l’appello alla calma, perché poiché le altre epidemie sono destinate a essere superate.
Ho.
Nella storia dell’umanità, ci sono state segnalazioni di epidemie che, a causa della loro rapida diffusione, sono diventate pandemie e hanno portato alla morte di molte persone. Basti pensare alla peste nera o bubbonica che colpì gran parte dell’Europa medievale e costrinse intere città a essere messe in quarantena. Ha avuto origine in Asia, ma già nel 1348 aveva raggiunto le coste del Mediterraneo e data la novità della malattia, la mancanza di igiene e medicina all’epoca, ha causato la morte di circa 20 milioni di europei in sei anni, una cifra enorme se la consideriamo rappresentare un quarto della popolazione mondiale.
Al tempo delle Crociate, il tifo giocò un ruolo chiave in queste guerre. Anche nel XIX secolo, un’altra pandemia toccò l’Eurasia e l’Africa: il colera. All’inizio del XX secolo, precisamente nel 1918, i primi casi della più grande pandemia dell’umanità apparvero fino ad oggi, abbiamo parlato dell'”influenza spagnola”, che è stata osservata per la prima volta in Kansas (USA), ma data l’estrema virulenza e un’insolita mutazione del virus si sono rapidamente diffuse in vari punti della sfera causando la morte di circa 60 milioni di persone in soli sei mesi. Tra le sue vittime c’erano bambini, giovani, adulti e alcune specie animali. In quei mesi morirono persone semplici come San Francesco Marto e Santa Giacinta Marto, due dei tre veggenti della Madonna di Fatima; ma anche personalità come il principe Erik di Svezia e Norvegia, Rodrigues Alves, allora presidente del Brasile, il famoso sociologo tedesco Max Weber e il presidente usa Woodrow Wilson.
In tempi più recenti l’HIV-AIDS è emerso negli anni ’80, l’influenza avaria del 2003 che ha portato in due anni a una pandemia e poi all’influenza suina (A H1N1), che nel 2009 si è espansa come sta facendo oggi il coronavirus. Ebola, malaria e epidemie di colera si verificano in Africa in vari periodo dell’anno. Come sappiamo la zanzara Aedes aegypti in ambienti equatoriali e tropicali trasmette malattie come Zika, chikungunya e dengue (in particolare dengue emorragica), che i cubani conoscono bene.
Ⅱ.
Al di là di queste brevi considerazioni storiche che ci aiutano ad avere un quadro del dramma attuale, è importante sottolineare che dopo un periodo di feroce virulenza che inevitabilmente causa la morte di alcune persone, ci sono momenti di incertezza che precedono l’esplorazione scientifica alla ricerca di una cura.
La sensazione di impotenza dell’uomo moderno abituato a risposte rapide, a tenere sotto controllo ogni situazione che si presenta (basti pensare all’evidente sviluppo scientifico-tecnico e ai grandi progressi della medicina su scala globale), spiega il clima di paura. Come afferma Papa Francesco: “È vero che sebbene questi processi siano sempre lenti, a volte la paura ci paralizza troppo”. [2]
Indubbiamente, l’innato desiderio di preservare la nostra esistenza di fronte al pericolo è comprensibile, quindi la preoccupazione per un virus di cause sconosciute che ha causato la morte (fino al momento di questa scrittura) di 2 810 persone. [3] Ma ci sono segni di speranze come la guarigione senza medicine di una ragazza cinese di 17 giorni nata e la cura del primo caso italiano, un 29enne che dopo una settimana è tornato a casa sano e salvo. Molti oggi guariscono a casa come se affrontano un semplice raffreddore, ma non è un motivo per trascurare le misure igieniche.
Quando il male è lontano dalla nostra portata ci muove, ma poiché “non è un nostro problema”, non ci lasciamo toccare in profondità e continuiamo a pensare a noi stessi. L’economia mondiale sta vacillando, soprattutto in Cina. Alcuni si preoccupano più dell’impatto negativo sullo sport e sul turismo che della sofferenza umana e di essere attaccati da qualcosa che per ora è fuori dal loro controllo. Pensiamo ai prossimi Giochi Olimpici di Tokyo 2020 (24 luglio – 9 agosto) o all’attuale Champions League che si concluderà il prossimo 30 maggio allo Stadio Olimpico di Istanbul, pieno di tifosi di calcio.
Ad esempio, in Italia sono state seguite da vicino le informazioni sul virus, ma quando a febbraio sono stati segnalati 822 casi e la morte di 21 italiani, diventati il terzo paese con il maggior numero di infetti (dopo Cina e Corea del Sud), è iniziata l’isteria collettiva nel nord del Paese: scuole, università, fabbriche e chiese sono state chiuse. A Roma (centro) e al Sud sono state adottate misure per proteggere la popolazione, in particolare gli anziani e gli asmatici che sembrano essere un facile bersaglio dell’epidemia. Gli animali non sembrano essere infettati da questa “polverite” come nel caso dell’influenza spagnola. Le misure di prevenzione sono già note a tutti noi: lavarsi spesso le mani con acqua e sapone, non toccare gli occhi, il naso o la bocca, coprirsi la bocca quando si tossisce e realizzare ombrelli d’acqua salata per rimuovere possibili germi. Quelli con raffreddore, con secrezione nasale ed espettorato, non sono sintomi del coronavirus, che è facilmente identificabile con la tosse secca. Il virus sembra morire a una temperatura di 27oC, ma può sopravvivere dodici ore su determinate superfici (metalliche o tessute) e 10 minuti nelle nostre mani, il che ci invita a intensificare l’igiene dei luoghi di lavoro, dei mezzi di trasporto, delle nostre case, dei nostri telefoni cellulari e computer. Allo stesso modo, è urgente e prudente cercare immediatamente assistenza medica se si ha mal di gola, febbre alta e difficoltà, evitando il contatto con molte persone.
Il Vaticano non ha sviluppato alcuna regolamentazione, ma è stato raccomandato alle masse in Italia, San Marino e Vaticano di prendere la comunione solo sotto la specie del pane e in mano; che il sacerdote presiedente e ogni ministro che distribuisce la sacra comunione si lavano le mani pochi minuti prima del rito in questione, diano il saluto della pace abbracciando (o toccandoci le spalle) quelli a noi più vicini senza dover salutare tutti i presenti e in quel momento evitando baci o strette di mano.
Iii.
Un altro fattore chiave per evitare la psicosi generale è la prudenza dei predicatori cristiani (sacerdoti, pastori, oratori) durante le celebrazioni o altri eventi pubblici per non cadere nella tentazione della giustizia retributiva che classifica questo virus come “una punizione di Dio”, “un segno della fine dei tempi”, “l’apocalisse è iniziata”, “un avvertimento dal Cielo” o altre frasi. Ricordiamoci che Gesù Cristo ci assicurò: “Nessuno conosce né il giorno né l’ora” (cfr Mc 13,32). Come disse san Giovanni XXIII all’inaugurazione del Concilio Vaticano II: non siamo “profeti di impresa”.
Nel romanzo La peste (1947) del filosofo francese Albert Camus, ambientato in una città algerina sotto il dominio francese negli anni ’40 del secolo scorso, la peste bubbonica si espande. Uno dei personaggi, padre Paneloux, gesuita di medie dimensioni, di carattere forte, dal pulpito della cattedrale, al quale è stato invitato a predicare ai fedeli, afferma con voce forte e appassionata, di aver trascinato: […] “Fratelli miei, siete caduti in disgrazia; fratelli miei, te lo siete meritati […] Medita su questo e mettiti in ginocchio. […] I giusti non avranno paura di nulla, ma i cattivi hanno motivo di tremare. [4] Come sappiamo alla fine del romanzo, padre Paneloux si rende conto di essere infetto e inizia a predicare sull’amore di Dio, che tutti perdona, e giorni dopo è stato trovato morto “mezzo caduto dal letto, i suoi occhi non hanno espresso nulla”. Si iscrisse al suo fascicolo: “Caso dubbio”. [5]
Non è sano associare la malattia a una sorta di punitività divina o correzione morale. Questo deforma l’immagine di Dio, che non è un arbitro senza cuore in cerca di scuse per espellerci dalla partita. Basti ricordare come, dopo il terremoto di Haiti (2010) che ha ucciso più di 230.000 persone, alcuni pastori evangelici in America Latina hanno condannato che si trattava di una punizione divina per la pratica del voodoo, dimenticando la presenza di cristiani cattolici e protestanti in quella nazione sorella. Papa Benedetto XVI, commentando Luca 13,1-9, ha chiarito che il male non ha origine in Dio:
“Gesù è sfidato su alcuni fatti luctuosi: l’omicidio, all’interno del tempio, di alcuni galilei per ordine di Ponzio Pilato e la caduta di una torre su alcuni passanti. Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come un effetto della punizione divina, Gesù presenta la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male, e custodisci il fatto che gli unsealings sono l’effetto immediato delle colpe personali di coloro che li soffrono, afferma: “Pensi che quei Galilei fossero più peccatori di tutti gli altri galilei , perché hai sofferto queste cose? No, ve lo assicuro; e se non convertite, morirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,2-3). Gesù ci invita a fare una lettura diversa di questi fatti, collocandoli nella prospettiva della conversione: l’inseatfulness, gli eventi luctuosi, non deve suscitare in noi curiosità o la ricerca di presunti colpevoli, ma deve rappresentare un’occasione per riflettere, superare l’illusione di poter vivere senza Dio e rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno a cambiare la vita. Di fronte al peccato, Dio è pieno di misericordia e continua ad esortare i peccatori ad evitare il male, a crescere nel loro amore e ad aiutare specificamente gli altri bisognosi, perché vivano la gioia della grazia e non vadano all’incontro della morte eterna. Ma la possibilità di conversione ci impone di imparare a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede, cioè incoraggiata dalla santa paura di Dio. In presenza della sofferenza e del lutto, la vera saggezza deve essere messa in discussione dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, che, sempre e solo volendo il bene dei suoi figli, con un imperscrutabile disegno del suo amore, a volte permette loro di essere messi alla prova dal dolore per portarli a un bene più grande”. [6]
Coronavirus, colera, HIV-AIDS, cancro, lebbra, tifo e altre malattie non sono una “punizione di Dio” per il peccatore. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 in diverse città degli Stati Uniti, alcune nazioni hanno lasciato intendere che si trattava di vendetta divina sull’orgoglioso stato. L’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, chiariva: “Dio non ci fa male; questo andrebbe contro l’essenza di Dio, che non vuole il male. Ma la conseguenza interiore del peccato è che un giorno sentirò le conseguenze inerenti al male stesso. Non è Dio che ci impone qualche male per guarirci, ma Dio mi lascia, per così dire, alla logica della mia azione e, lasciato a questa logica della mia azione, sono già punito per l’essenza del mio male. Nel mio male è coinvolta anche la punizione stessa; non viene dal cuore, viene dalla logica della mia azione, e così posso capire che sono stato in opposizione alla mia verità, ed essendo in opposizione alla mia verità sono in opposizione a Dio, e devo vedere che l’opposizione con Dio è sempre autodistruttiva, non perché Dio mi distrugge, ma perché il peccato mi distrugge”. [7]
IV
Le informazioni corrette svolgono un ruolo chiave. Se “la verità è la prima vittima della guerra”, come disse Esquilo; In questi tempi di paura, la verità è la prima vittima del coronavirus: gli effetti sono esagerati o ridotti al minimo, i poveri sono incolpati, soprattutto i migranti, che vivono per strada. In Germania, ad esempio, la xenofobia e il razzismo rinascono con slogan come “tagliare qualsiasi cinese”; gruppi più “moderati” che ti invitano a non avvicinarti a ristoranti e aziende cinesi e collegare qualsiasi cinese alla malattia.
Questo virus che rischia di diventare una pandemia globale deve unirci e non separarci: evitiamo di accumulare prodotti al servizio di tutti, non approviamo la rinascita di odi nazionali e opposizioni politiche che approfittano del tempo per fare campagna elettorale. Ad esempio, il ricco nord dell’Italia accusa il povero sud e la sinistra politica di non aver chiuso i confini del Mediterraneo in tempo a coloro che arrivano ogni settimana su imbarcazioni di fortuna in fuga da guerre, fame e regimi crudeli in Africa e in Medio Oriente. È interessante notare che l’infezione e la diffusione del virus cinese in Italia, provenivano dal nord industrializzato, residenza di vip e partiti di destra e di estrema destra.
Il virus asintomatico non viene scoperto fino a diversi giorni dopo l’infezione; è più favorevole nei climi freddi e non significa che l’infezione porti inevitabilmente alla morte del paziente (in Italia ce ne sono 46 curati). Come ogni malattia dipende dal corpo di ogni essere umano e dal loro sistema immunitario. Gli anziani hanno più probabilità del resto della popolazione.
I cubani non devono distolare la guardia e pensare che si tratta di un problema euroasiasiata, lontano dalla nostra portata. Già sull’isola cominciano ad emergere i primi casi, quattro fino ad oggi.
Il cristiano del XXI secolo è un uomo globale “capace di entrare in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa, che vogliono godersi le cose belle dell’esistenza, trovare pace e armonia, risolvere le crisi familiari, curare le loro malattie, guardare i loro figli diventare felici”. [8] Come cristiani preghiamo per le persone che soffrono oggi del virus per il quale in un anno c’è un farmaco che lo terrà permanentemente. Preghiamo perché Dio illumini la comunità scientifica che da gennaio lavora instancabilmente per trovare quella cura. Di fronte a un’epidemia che si diffonde con particolare virulenza, evitiamo di cadere in chiacchiere eccessive e nella spirale di allarmismo che paralizza. Non c’è da cedere alla paura che divide. È più deplorevole come in alcuni oggi il ‘virus’ dell’individualismo narcisistico sia più fortemente verificato, riflettendo la cultura della “mia prima cosa”, che sta sgretolando la nostra convivenza sociale. Non siamo soli: questo è il messaggio di speranza che come cristiani siamo chiamati a diffondere in questi giorni. Con cuore aperto pieno di fede preghiamo: “Signore, il tuo amore è eterno, non abbandonare l’opera delle tue mani!” (cfr Salmo 138,8).
[1] Mary Baker Eddy, Science and Health with Key to the Scriptures, The Christian Science Board of Directors, Boston 1991, p. 196-197.
[2] Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Cara Amazzonia, (2 febbraio 2020), n. 69.
[3] Queste cifre corrispondono al 29 febbraio 2020, al momento della pubblicazione di questo articolo il lettore può notare il cambiamento del numero di vittime, malati e guarito che a causa dell’attuale evoluzione del virus sono dati variabili e mai accurati.
Albert Camus, The Plague, p. 47-48.
Albert Camus, The Plague, p. 116.
[6] Benedetto XVI, Angelus Domini, (7 marzo 2010).
[7] Joseph Ratzinger, l’intervista di Antonella Palermo al cardinale Ratzinger dopo gli attacchi dell’11 settembre alla Radio Vaticana (12 settembre 2001).
[8] Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Cara Amazzonia, (2 febbraio 2020), n. 80.
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