Vai al cinema Luis Beiro Alvarez

Il cubano Luis Beiro Alvarez, dominicano, dice nel suo ultimo libro The Screen Upside Down: “Un film non è buono o cattivo in sé. La sua importanza ha a che fare con l’impatto e il potere di permanenza che provoca sui suoi spettatori.”1 Secondo quanto sopra, i codici cinematografici sembrano passare allo sfondo. È importante che un film sia accolto con favore dal pubblico. Ma da cosa dipende davvero la tua trascendenza? Un risultato non viene sopravvalutato? La citazione è stata scritta da Beiro sulla scioccante serie americana The Walking Dead, che riconosce, con completo successo, audacia e avvertimenti etici.
Il potere di impatto e permanenza della settima arte – o di qualsiasi audiovisivo rispettabile – è mediato, in primo luogo, dalla libertà e dalla disposizione dei codici che, oltre a ricordare che il cinema era agli inizi mostra di fiera e poi arte, risponde a convenzioni tecnico-formali che lo particolarizzano quale arte, tecnica e sistema di comunicazione. Altrimenti, Beiro non avrebbe anche riconosciuto che “il cinema non è un elemento gioioso reso possibile dagli ingranaggi dell’ispirazione”2 o “Quando un’opera è arte autentica, accende il dibattito tra cineasti di varie latitudini”,3 dibattito di cineasti formati o specializzati nell’accoglienza, senza sottovalutare. Non dimenticare l’abbandono o il disprezzo degli intenditori verso alcune opere della settima arte. Beiro punta a registrare:

“Il cinema non è solo pensiero e azione, ma anche tecnico. Una tecnica che produce denaro, come tutte le tecniche. Un’arte raffinata, un integratore di manifestazioni che non possono limitarsi alla ristretta struttura di un’industria, anche se deve marciare in linea con essa per molteplici ragioni extra-cinematografiche.”4

Conoscendo il grande e piccolo schermo, l’autore è stato in grado di disegnare temi sia inerenti all’atto cinematografico stesso che quelli che vengono poi assimilati o conquistati dall’impero magico e audiovisivo di esso.
A prima vista, il tutto è di promiscuità frammentaria. Ora, raccogliendo passaggi a livello di capitolo, ti viene data un’organizzazione interna non banale. Cosa lo sostorsi? La scrittura spontanea e piacevole di chi ottiene, fortunatamente, un tono colloquiale aperto in soggetti che un altro ricercatore avrebbe complicato senza bisogno.
Lo schermo rovescio è un materiale di riferimento, soprattutto per la Repubblica Dominicana: raccoglie varie note sulla cinematografia del Paese. Sono spesso note o recensioni di valutazioni con riferimenti ineludibili intorno al ruolo del regista, casting, messa in scena, tema, ritmo della trama, storia e spettacoli. Beiro considera anche gli aspetti extracinematografici nell’aspetto, che hanno un impatto su un film: la ricezione di esso o il contesto storico e culturale che lo determina. Vale la pena fermarsi alla pagina “Dai, il mio pensiero”. Non importa se inizi con lui o lo lasci per la fine. Il lettore potrebbe prima partecipare alle sezioni “Confessioni” e “Tutto misto”.
In “All Mixed”, è in grado di crittografare questioni di interesse, dove la storia e criteri particolari riescono a transitare insieme. Anche quando sembra che tornerai a ciò che è già noto in testi come “The Movies about Che” o “Oscar-winning Remakes”, troverai strane opinioni. L’autore non solo ha visto e letto del cinema, ma può esercitare un giudizio con la conoscenza delle cause e dei risultati. Le pagine sul trattamento della figura del che nel cinema e quelle che recensivano “Cervantes come personaggio immaginario” e “Cinema in spazi chiusi”, “Impronte degli zombie” e “Il road movie: storia ed evoluzione” meritano attenzione per sintetizzare i dati e stimolare la curiosità del lettore/spettatore.

In “Zombie Confessions” si ottiene una comodità intermedia che anche l’editore della sezione culturale Ventana del quotidiano Listín Diario ha senza discussione. Convoca e sa cogliere i momenti di parlare quando non di ricordo. Ci sono interviste nel modo tradizionale: domande e risposte faccia a faccia o questionari. A questo proposito ricordo il mix non sempre fortunato di domande sul cinema ad attrici e registi con esclusi dalla professione. L’intimo può essere incluso in sottili dichiarazioni sulla professione e sulla vita. Nelle vicinanze, ci imbattiamo in rivelazioni a cui fa riferimento un incontro, in cui sono inserite opinioni del protagonista del dialogo: la parola è inserita. In questa seconda opzione, è più competente perché è necessaria più creatività come quando, ad esempio, inserisce i parlamenti degli altri in una narrazione del suo raccolto. Non per niente, la parte più originale del libro è il prologo. Partire da un aneddoto con lo scrittore Carlos Fuentes, per riferirlo proprio al cinema, è di una apprezzabile astuzia da parte dell’associazione.
In “Anda, my thought” troviamo testi di qualità ineguale, sia nella scrittura che nei contenuti. Ci sono asomos di esercizi di criteri in queste note giornalistiche. Raramente suggerisce più di quanto analizzi; indica più di quanto proverà o notifichi una valutazione che richiede un esame preventivo o successivo. Più che spiegazioni, leggiamo glosse sui film. Ma le recensioni di film, nel rigore, non abbondano, tranne “Contabilità crediti”, “Bestia di Cardo” o “Sud dell’Innocenza”, per citarvi tre buoni esempi. Infatti, “South of Innocence” è uno dei migliori testi critici di The Screen… Prendo un frammento che mi permette di illustrare quello che dico:

“Man mano che il film progredisce, la storia principale viene troncata e sebbene l’estremità aperta suggerisca una continuità, si ottiene un solo riferimento turistico (la fotografia), ignaro dei veri problemi che affliggono il polmone di quel pezzo di patria chiamato ‘Deep South’. Molto bene quella fotografia e quei colori per documentari in stile turistico perché catturano il paesaggio con tutto il suo splendore esterno. Ma la telecamera non entra nel cuore della storia. Non è colpa del fotografo, è la sceneggiatura che non ha richiesto ulteriori sacrifici”.5

La citazione è una vera recensione cinematografica. Gran parte del resto di “Anda, il mio pensiero” è apprezzato come un disco informativo sul cinema dominicano. I riferimenti sparsi, quando si incontrano, acquisiscono un nuovo valore adatto al confronto, nonché la visibilità dei progressi, delle stagnazioni e delle utopie da parte degli audiovisivi raggiunti.
L’assenza di pedanteria è da lodare. Naturalmente, precise e dirette – qualificazioni impiegate da Luis Beiro Alvarez per riferirsi al regista José María Cabral – si adattano alla sua partitura. Tuttavia, un’edizione molto attenta avrebbe sostenuto la sobrietà intellettuale di The Screen capovolto, un volume che mostrava le rivelazioni e le sensibilità di un regista. Questo non rappresenta un altro modo per promuovere il cinema? Ω

Note
1 Luis Beiro Alvarez: Lo schermo capovolto, Santo Domingo, Banreservas, 2017, p. 217.
2 Ibid., p. 234.
3 Ibid., p. 219.
4 Ibid., p. 118.
5 Ibid., p. 93.

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