Catechesi dell’Udienza Generale di S.S. Francisco

Audiencia General de este 23 de septiembre

Cari fratelli e sorelle, sembra che il tempo non sia molto buono, ma vi dico comunque buongiorno!

Per uscire meglio da una crisi come quella odierna, che è una crisi sanitaria e al tempo stesso una crisi sociale, politica ed economica, ognuno di noi è chiamato ad assumersi la propria parte di responsabilità, vale a dire condividere la responsabilità. Dobbiamo rispondere non solo come individui, ma anche dal nostro gruppo di appartenenza, dal nostro ruolo nella società, dai nostri principi e, se siamo credenti, dalla fede in Dio. Ma spesso molte persone non possono partecipare alla ricostruzione del bene comune perché sono emarginate, escluse o ignorate; alcuni gruppi sociali non contribuiscono perché sono annegati economicamente o politicamente. In alcune società, molte persone non sono libere di esprimere la propria fede e i propri valori, le proprie idee: se le esprimono vanno in prigione. Altrove, specialmente nel mondo occidentale, molti si auto-sopprimono le proprie convinzioni etiche o religiose. Ma in questo modo non si può uscire dalla crisi, o in ogni caso non si può migliorare. Peggioreremo.

Affinché tutti noi partecipiamo alla cura e alla rigenerazione dei nostri popoli, è giusto che ognuno abbia le risorse giuste per farlo (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa [CDSC], 186). Dopo la grande depressione economica del 1929, papa Pio XI spiegò quanto fosse importante il principio di sussidiarietà per una vera ricostruzione (cfr Enc. Quadragesimo anno, 79-80). Tale principio ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Potremmo non capire cosa significhi, ma è un principio sociale che ci rende più uniti.

Da un lato, e soprattutto in tempi di cambiamento, quando individui, famiglie, piccole associazioni o comunità locali non sono in grado di raggiungere obiettivi primari, allora è giusto che i più alti livelli dell’organismo sociale, come lo Stato, intervengano per fornire le risorse necessarie e andare avanti. Ad esempio, a causa del confinamento da coronavirus, molte persone, famiglie e attività economiche si sono trovate e sono ancora in grave difficoltà, quindi le istituzioni pubbliche stanno cercando di aiutare con adeguati interventi sociali, economici, sanitari: questo è il loro ruolo, quello che devono fare.

D’altro canto, invece, i vertici della società devono rispettare e promuovere livelli intermedi o inferiori. Decisivo, infatti, il contributo dei singoli, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti gli organismi intermedi e anche delle Chiese. Questi, con le proprie risorse culturali, religiose, economiche o di partecipazione civica, rivitalizzano e rafforzano l’organismo sociale (cfr CDSC, 185). Cioè, c’è una collaborazione dall’alto verso il basso, dallo Stato centrale alla gente e dal basso verso l’alto: dalle formazioni del popolo verso l’alto. Ed è proprio questo l’esercizio del principio di sussidiarietà.

Ognuno deve avere la possibilità di assumersi la responsabilità dei processi di guarigione della società di cui fa parte. Quando un progetto che si riferisce direttamente o indirettamente a determinati gruppi sociali viene attivato, non può essere lasciato fuori dalla partecipazione. Per esempio: “Cosa stai facendo? “Ho intenzione di lavorare per i poveri. “Come bello, e cosa stai facendo? “Insegno ai poveri, dico ai poveri cosa fare.” “No, questo non funziona, il primo passo è lasciare che i poveri vi dica come vivono, di cosa hanno bisogno: lasciate parlare tutti! Quindi il principio di sussidiarietà funziona. Non possiamo lasciare queste persone fuori dalla partecipazione; la loro saggezza, la saggezza dei gruppi più umili non può essere messa da parte (cfr Egli ha esortato ap. postsin. Cara Amazzonia [QA], 32; Enc. Laudato si’, 63). Purtroppo, questa ingiustizia è spesso verificata quando si concentrano grandi interessi economici o geopolitici, come alcune attività estrattive in alcune aree del pianeta (cfr QA, 9.14). Le voci dei popoli indigeni, le loro culture e visioni del mondo non vengono prese in considerazione. Oggi, questa mancanza di rispetto per il principio di sussidiarietà si è diffusa come un virus. Pensiamo alle grandi misure di aiuto finanziario condotte dagli Stati. Le grandi società finanziarie si fanno sentire più delle persone o di quelle che muovono l’economia reale. Le multinazionali si fanno sentire più dei movimenti sociali. Volendo dirlo nel linguaggio della gente comune: ascoltiamo più i potenti che i deboli e non è così, non è la via umana, non è la strada che Gesù ci ha insegnato, non è realizzare il principio di sussidiarietà. Così non permettiamo alle persone di essere “protagoniste del salvataggio stesso”[1]. Nel subconscio collettivo di alcuni politici o di alcuni sindacalisti c’è questo motto: tutto per la gente, niente con la gente. Dall’alto verso il basso ma senza ascoltare la saggezza della gente, senza attuare questa saggezza nel risolvere i problemi, in questo caso per uscire dalla crisi. Oppure pensiamo anche a come curare il virus: le grandi aziende farmaceutiche si fanno sentire più degli operatori sanitari, che sono impegnati in prima linea negli ospedali o nei campi profughi. Non è un buon modo. Tutti devono essere ascoltati, quelli di sopra e quelli sotto, tutti loro.

Per uscire meglio da una crisi, occorre attuare il principio di sussidiarietà, rispettando l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti, in particolare di questi ultimi. Tutte le parti di un corpo sono necessarie e, come dice san Paolo, quelle parti che potrebbero sembrare più deboli e meno importanti sono in realtà le più necessarie (cfr 1 Cor 12,22). Alla luce di questa immagine, possiamo dire che il principio di sussidiarietà consente a ciascuno di assumere il proprio ruolo per la cura e il destino della società. Applicarlo, applicare il principio di sussidiarietà fa sperare in un futuro più sano e più giusto; e questo futuro che costruiamo insieme, mirando alle cose più grandi, allargando i nostri orizzonti [2]. O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisi, a tutti i livelli della società, o non usciremo mai. Uscire dalla crisi non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali per farle sembrare un po’ più giuste. Uscire dalla crisi significa cambiare, e il vero cambiamento è fatto da tutte le persone che compongono la gente. Tutti professionisti, tutti loro. E tutti insieme, tutti in comunità. Se non lo fanno tutti, il risultato sarà negativo.

In una precedente catechesi abbiamo visto come la solidarietà sia la via d’uscita dalla crisi: ci sconta e ci permette di trovare proposte solide per un mondo più sano. Ma questa strada della solidarietà ha bisogno di sussidiarietà. Alcuni potrebbero dirmi: “Ma il Padre oggi parla con parole difficili! Ma è per questo che sto cercando di spiegare cosa significa. Solidarietà, perché siamo sulla strada della sussidiarietà. Infatti, non c’è vera solidarietà senza partecipazione sociale, senza il contributo degli organismi intermedi: famiglie, associazioni, cooperative, piccole imprese, espressioni della società civile. Tutti devono contribuire, tutti. Tale partecipazione contribuisce a prevenire e correggere alcuni aspetti negativi della globalizzazione e dell’azione degli Stati, come avviene anche nella cura delle persone colpite dalla pandemia. Questi contributi “dal basso” dovrebbero essere incoraggiati. Ma com’è bello vedere il lavoro dei volontari nella crisi. Volontari che provengono da tutti i partiti sociali, volontari che provengono da famiglie benestanti e provengono dalle famiglie più povere. Ma tutti insieme per uscire. Questa è solidarietà e questo è il principio di sussidiarietà.

Durante il parto, il gesto di applausi per medici, infermieri e infermieri è nato spontaneamente come segno di incoraggiamento e speranza. Molti hanno rischiato la vita e molti hanno dato la vita. Estendiamo questo applauso a ogni membro del corpo sociale, a tutti, a ciascuno, per il suo prezioso contributo, per quanto piccolo. “Ma cosa si può fare laggiù? “Ascoltalo, dagli spazio per lavorare, consultalo.” Plaudiamo agli “scartati”, a chi chiama questa cultura “scartata”, a questa cultura dello scarto, cioè applaudiamo gli anziani, i bambini, le persone con disabilità, applaudiamo i lavoratori, tutti coloro che mettono il servizio. Tutti lavorano insieme per uscire dalla crisi. Ma non fermiamoci agli applausi! La speranza è audace, quindi incoraggiamoci a sognare in grande. Fratelli e sorelle, impariamo a sognare in grande! Non abbiamo paura di sognare in grande, cercando gli ideali di giustizia e di amore sociale che nascono dalla speranza. Non cerchiamo di ricostruire il passato, il passato è passato, ci aspettano cose nuove. Il Signore ha promesso: “Renderò tutte le cose nuove”. Incoraggiamoci a sognare molto alla ricerca di questi ideali, non cerchiamo di ricostruire il passato, specialmente quello che era ingiusto e già malato. Costruiamo un futuro in cui la dimensione locale e globale si arricchiscano a vicenda – ognuno può fare la sua parte, ognuno deve dare la propria parte, la propria cultura, la propria filosofia, il proprio modo di pensare – dove la bellezza e la ricchezza dei gruppi più piccoli, anche dei gruppi scartati, possono prosperare perché c’è anche bellezza lì, e dove coloro che hanno più impegno a servire e dare di più a coloro che ne hanno meno.

Poi, mentre salutava i pellegrini di lingua spagnola, il Papa disse:

Cari fratelli e sorelle:

L’attuale crisi non riguarda solo le crisi sanitarie, ma anche le crisi sociali, politiche ed economiche. Per tirarci fuori siamo tutti chiamati, individualmente e collettivamente, ad assumerci le nostre responsabilità. Ma notiamo, tuttavia, che ci sono persone e gruppi sociali che non possono partecipare a questa ricostruzione del bene comune, perché sono emarginati, esclusi, ignorati e molti di loro senza libertà di esprimere la loro fede e i loro valori.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda come tutte le parti del corpo, senza eccezioni, siano necessarie. Alla luce di questa immagine di san Paolo, vediamo anche come la sussidiarietà sia indispensabile, perché promuove la partecipazione sociale, a tutti i livelli, che contribuisce a prevenire e correggere gli aspetti negativi della globalizzazione e dell’azione dei governi.

Pertanto, la via d’uscita da questa crisi è la solidarietà, che deve essere accompagnata dalla sussidiarietà, che è il principio che incoraggia tutti a svolgere il proprio ruolo nel compito di prendersi cura e preparare il futuro della società, nel processo di rigenerazione dei popoli a cui appartiene. Nessuno può stare fuori. L’ingiustizia causata dagli interessi economici o geopolitici deve finire e cedere il posto a una partecipazione equa e rispettosa.

Saludo del Santo Padre a los fieles presentes
Saludo del Santo Padre a los fieles presentes

Saluto cordialmente i fedeli di lingua spagnola. Ce ne sono così tanti oggi! Questi giorni sono cinque anni del mio viaggio apostolico a Cuba. Saluto i miei Fratelli Vescovi e tutti i figli e le figlie di quell’amata terra. Vi assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera. Chiedo al Signore, per intercessione della Madonna della Carità del Rame, di liberarli e alleviarli in questi momenti di difficoltà che attraversano a causa della pandemia. E a tutti, il Signore ci conceda di costruire insieme, come famiglia umana, un futuro di speranza, in cui la dimensione locale e la dimensione globale si arricchiscano a vicenda, la bellezza fiorisca e si costruisca un presente di giustizia dove tutti si impegnano a servire e condividere.

Dio vi benedica tutti.

Francisco

[1] Messaggio per la 106a Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati 2020 (13 maggio 2020).

[2] Cfr. Discorso ai giovani del Padre Félix Varela Cultural Center, L’Avana – Cuba, 20 settembre 2015.

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