Esplosione di direzioni

Di: Daniel Céspedes

“Ma pura poesia, non è proprio la capacità di dotare il linguaggio volgare (scritto e parlato) di un certo mistero che, una volta indagato a fondo (accademicamente), si rivela nascosto dietro mere strutture prosodiche, sintattiche, ritmiche, metriche, semantiche.. .?”

Angela Valvey

 

Forse Roberto Manzano scrivendo Lyrical Diary (Selvi Ediciones, 2020) non ha inteso un documento per i posteri. Ma nella sua condizione di diarista1 si scopre con piena consapevolezza il suo desiderio di condividere un pensiero spirituale sul mondo. La generalizzazione, però, ci porta a voler conoscere la privacy dell’autore. Sarebbe conveniente, infatti, definire un globo che, al di là delle esperienze spazio-temporali, rappresenti una realtà espansa dall’immaginazione e dai sogni dell’esperienza del poeta?

Perché Manzano scrive questo diario? In linea di principio, la sua scrittura si allea con la libertà poetica, ma la fissità di certi accordi morfologici, sintattici, fonici e semantici non finisce per inciampare nell’incompiuto del diario? Le domande sono tante, ma almeno suggeriscono un truismo che merita di essere ricordato: come ogni altra, la scrittura diaristica dipende dalla volontà di chi scrive e, più che da questa, si riconosce meglio che la prima obbedisce a un mestiere che rivela e nasconde un tempo trucchi, abilità e persino uno stile. Per non parlare di più? Beh, devi continuare a dirlo.

Secondo Philippe Lejeune, la “serie di stampe datate” viene definita da quel desiderio di scrittura simultanea che equivale alla religiosità delle note autobiografiche, ai segreti rivelati. Intenzionalmente promiscua tra i sessi, comporta sia la registrazione di una figura fragile sia la spontaneità frammentaria con desideri e realizzazioni di familiarità con identità diverse, sebbene correlate: “Così sono, e vado, dando la mia stessa mancanza / un sciolto abbondanza che riunisce tutto ”(“Che tutto ciò che mi tengo estraneo diventi…”). Non importa quanto particolari siano gli scritti, l’interesse continuerà a ricadere su ciò che rivelano sull’essere umano. Non per nulla Manzano giustifica la genesi di questi “legami arbitrari”, figli anche di situazioni e accuse, riconoscendo nel suo preambolo quanto segue: “L’essere umano non è solo la sua circostanza avara o costrittiva. Le potenzialità del suo mondo interiore parlano di lui più dei suoi atti assolutamente registrabili. E un’annotazione lirica è sempre una proiezione della nostra persona accattivante”.

L’ufficio di Manzano non sacrifica la libertà scritturale. Si sta dirigendo verso il poema della bellezza riflessiva e, per il momento, ci si accontenta. Respira, osserva e impara per continuare. Nota quanto sopra in tutto il taccuino, ma ascoltati leggendo con particolare attenzione “Verso la caccia più grande che dura…”, “Sulle superfici lucide copio il vento…”, ovviamente “Ecco, camminando tra gomiti stretti…” e anche “Quando scende la notte, senza sapere quanto sia dolce…”, “La durata del verso conosce i polmoni…”, “Vorrei, ad ogni alba, quando partissi per il polvere…”, “Passa appena un’ala, quasi un fumo che scorre…”, ma la forza autoreferenziale, programmatica e immaginativa di questi alessandrini è talvolta rappresentata da un solo poema senza che si intraveda alcun preavviso o permesso . È il caso di

Ho già visto dove avanzano gli altri cantanti:

Ho visto le loro opere e i loro dei nascosti.

E ho mappato la rotta che porta al porto.

Ma cosa farò? Ho le mie navi.

Ci sono molti sentieri, i modi per ferire

le acque con i remi: guardo le mie mani,

Vado in giro muto, disegno la mia congiuntura

e lancio in avanti –solo– i miei teloni profondi!

José Luis Piquero, che a sua volta evoca riferimenti precedenti che non mi sento di menzionare, scrive: “Una poesia non deve essere. La poesia siamo noi o non lo siamo.”2 Tumulo favorito dal rischio di più ricadute, il blocco note di Manzano dell’agosto 2004 è sommatoria, sceneggiatura e, se si vuole, memoria che non vuole essere incasellata nel chiasso di un sé abituale, rigorosamente identificabile, perché se lo consideriamo con l’accademia più audace e imparziale, allora siamo d’accordo con Hans Rudolf Picard quando, su un genere così impreciso, afferma:

“Come prodotto linguistico dell’autocoscienza, il diario non è affatto un documento sul modo in cui un individuo si limita a verificare in modo neutro come si trova nel mondo; al contrario: nella sua qualità di confessione egocentrica, il diario è l’immagine filtrata attraverso un particolare temperamento, il progetto di un’idea, più inconscia che conscia, che l’Io ha di sé ».3

Come giornale lirico, non è conveniente e non può essere una normale autobiografia. L’espressione poetica amplia il fatto specifico, l’emozione e il pensiero. Non stupisce che più di una di queste poesie sia offerta quale fiducia, come: “Se tu vedessi il mio eroismo -perché è eroismo!- / davanti all’angoscia quotidiana del quotidiano, / contro l’oblio e la miseria sollevando il paggio, / quella gloria minuscola e sottile, quell’ariete!». Poi va meglio.

Se è possibile illustrarlo, assicurarsi che il giornale data lo shock di fronte all’evento recente o il ricordo che acquista validità a causa di quanto sopra o menzionato. Il presente del diario va oltre il cronologico a favore dell’ontologico. Ma in Lyrical Diary, tra l’ingresso del primo poema e il ritorno dell’ultimo, il successivo è messo in discussione dalle espansioni dei gerundi (camminare, conoscere, crescere, accumulare, indorare, scrivere, fuggire, lanciare, vibrare, cantare , ricoprire, meditare, camminare, scolpire, curare, sopravvalutare, guardare…). Coniugazione del verbo che non indica il transpersonale affinché il lecito si identifichi con noi –come previsto–, ma piuttosto evidenzia il sé inserito nel mondo, da esso penetrato, in un’azione duratura.

Nella valutazione preliminare (“E tutto entra insieme, come una tempesta azzurra…”), ciò che arriva e si raggiunge per essere valutato, rappresenta una comprensione, anche se non totale, di ciò che compone il corpo e lo spinge ad andarsene, come dopo accadrà in “Così mi afferro quando mi guardo, e mi contemplo…”, di cui vale la pena segnalare un frammento determinante in cui il soggetto lirico (se) afferma:

Con quel poco affetto, che profonda pietà

Mi vedo: dimmi, come hai vissuto

in quel triste modo, mio ​​sosia, mio ​​fratello?

In che modo la vita ti ha stravolto in quel modo?

quando sei uscito al sole con quella bella verve

del blunt, nell’iniziale del tuo sangue?

È un’uscita cauta, in effetti, perché conviene prendere le distanze dal mondo per cercare di apprezzarlo e apprezzarlo meglio, che è come tornare alla solitudine dello sfondo –non definitivo– ma influente per il poeta. Di conseguenza, Manzano pratica una sorta di autoesame in “E tutto entrando insieme,…”, anche se include un principiante prima della vita o uno con un percorso avanzato. È un esame, senza dubbio, rispettivamente di iniziazione o di equilibrio. Mentre in “Torno, torno, perché vado avanti…” un ciclo sembra chiudersi, perché in onore della manifestazione delle immagini, si assiste al giorno della riunione, quello che contravviene al fine del volume.

Giunti a questo punto in Diario Lírico, dove si trovano testimonianze di smarrimento, utopia di speranze personali ma anche collettive, un viaggio appassionante ed un esercizio catartico, non resta che al lettore lasciarsi trasportare, allo stesso Roberto Manzano convincere lui: “Ho ben chiaro il luogo dove un giorno sono partito: / Ma il futuro chiama con le voci di Oggi. / Oh nuovi spazi, tempi che raccolgono le loro ombre. / Compio il mio dovere: cammino verso l’Entraña stessa! ”. Ω

 

 

Appunti

1 C’è chi preferisce il termine dieterista, che si riferisce ai libri in cui i cronisti aragonesi selezionavano documenti per la storia, sulla base di quegli eventi che erano loro più noti. Recentemente Santos Sanz Villanueva, nel suo saggio consigliato “Ricardo Piglia, storico di se stesso”, chiama l’argentino un dietologo dopo I diari di Emilio Renzi. Vedi Hispanic American Notebooks, n. 834, dicembre 2019, pp. 126-133.

2 José Luis Piquero: “Quinta del deado”, in José Luis García Martín: The Generation of 99. Antologia critica della giovane poesia spagnola, Ediciones Nobel, S. A., Spagna, 1999, p. 267.

3 Hans Rudolf Picard: “Il giornale come genere tra l’intimo e il pubblico”, in 1616: Annuario della Società spagnola di letteratura generale e comparata, n. 4, 1981, p. 116.

 

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