“Un tempo senza luce si fa sentire. E non importa quanto sia tranquillo questo tempo, è finalmente il tempo, con la sua inevitabile temporalità”.
Maria Zambrano
Cambia il superficiale
Cambia anche la profondità
Cambia la mentalità
Cambia tutto in questo mondo
Il tempo cambia nel corso degli anni
Il pastore cambia il suo gregge
E proprio come tutto cambia
Che io cambio non è strano
[…]
Ma non cambia il mio amore
Per quanto mi riguarda
Né il ricordo né il dolore
Della mia città e della mia gente
Mercedes Sosa
Tutto cambia
L’8 gennaio 1880, in una lettera indirizzata a Miguel Francisco Viondi, José Martí gli chiese di dare a sua moglie un cappottino e un cappello che l’Apostolo inviò a suo figlio e aggiunse: “Passo le mie ultime cartucce in salve d’amore”. . Quelle parole mi fanno riflettere su vari aspetti dell’attuale questione cubana: sulla lontananza radicata nella storia nazionale attraverso la separazione delle famiglie e sulla questione dell’invio delle rimesse, che già nel XIX secolo, la più grande figura a Cuba la praticava. Ha anche inviato denaro alle sue sorelle e ai suoi genitori.
Queste azioni: famiglie separate e rimesse, arrivano su larga scala ai nostri giorni, sconvolgono l’anima nazionale. È incredibile che dopo più di cento anni, in un altro contesto, non siano stati superati nel tempo. Oggi arriviamo al punto in cui dipendere dall’emigrazione è vitale per la sopravvivenza, non solo per un gruppo significativo di persone, ma per il Paese nel suo insieme. Lo squilibrio economico è così grande che anche con il sostegno familiare esterno si può vivere senza angosce. E mi chiedo: cosa succede a chi non riceve aiuto? Sopravvivono in qualsiasi modo: truffa, rivendita, inganno e un lungo eccetera difficile da nominare. Lo viviamo tutti, tranne un certo strato di funzionari, leader, parenti e un breve eccetera.
Sul piano politico, l’offesa nelle reti è ricorrente, la mancanza di rispetto manifestata in varie opinioni brulica: “cosa fanno le persone che non scendono in piazza?”; “Hanno ciò che si meritano”; alcuni cubani chiamano altri “pecore”… D’altra parte, dalla trincea opposta, abbondano aggettivi come mercenari, controrivoluzionari, traditori…
Tuttavia, quando la notte è più impenetrabile, l’alba si apre. “Il fiore non sta mai fermo, il colore in esso si accende o sbiadisce” .1 Cosa ci succede con questo discredito?
Il termine ariete è usato qui metaforicamente per riferirsi alla parola mite. Sebbene la mitezza sia spesso identificata come debolezza, in realtà questo atteggiamento è anche forza sotto controllo. Modera la rabbia nei momenti di conflitto, evita tutti i movimenti disordinati dovuti al comportamento dell’altro. “Beati i miti”.
Nel 1889, in un’altra lettera nota come Rivendicazione di Cuba, scritta a New York, il nostro Apostolo scrisse:
“Noi cubani non siamo il popolo dei miserabili vagabondi o dei pigmei immorali che il Fabbricante ama descrivere; né il paese degli inutili verbosi, incapaci di azione, nemici del duro lavoro”. No, nessun popolo merita di soffrire ciò che Cuba ha sofferto.
Un argentino mi dice: “Nel mio Paese molta gente mangia una volta al giorno, Teresa, una volta al giorno! Nel mio paese i soldati sono nelle strade, una feroce repressione; siete vittime dell’embargo”… Lo stesso vecchio discorso, insopportabile, perché non abbiamo il diritto di lamentarci quando si tratta di America Latina. Un giorno ci hanno trasformato in un faro, ad esempio, una guida, senza diritto di stancarsi, di scioperare, di protestare, senza diritto di partire liberamente e un giorno di poter tornare – quando capiamo – con diritti. Il mandato sociale dei cubani è resistere, resistere, resistere. La nostra emozione stagnante e invertebrata.
La convivenza nazionale non può essere statica, intendono ridurre il senso della vita cubana a segnare in coda perché, magari, arriva lo yogurt o il pollo, tanto è misera la quotidianità! Cominera, assurdo. Le persone non vivono insieme perché sì, i gruppi che compongono una nazione vivono insieme per qualcosa, costituiscono una comunità di desideri, di scopi, di utilità. Per comandare bisogna saperlo fare. Le riunioni vanno e vengono le riunioni, generalmente tenute per annunciare quanto siamo cattivi. Come scrisse José Ortega y Gasset: “La nazione non si nasce, si fa”.
Da un approccio etico vorrei mettere in guardia dal pericolo di percepire l’umano dalla rappresentazione configurata in un discorso. L’umano, se è umano, deve esprimere anche il fallimento di ogni rappresentazione. Se l’umano si traduce in un mero concetto, diventa un meccanismo di esclusione, di violenza, di disumanità. Non esistono modi unici di vivere, di esistere. Concludo con Michel Foucault in L’archeologia della conoscenza: “Non chiedermi chi sono, né chiedermi di rimanere immutato”. Riguarda la società che è appropriata alla persona, il suo spazio appropriato e non il suo luogo di tormento. Ω
Nota
[1] María Zambrano: “Il mistero del fiore”, in De la aurora, Tabla Rasa Libros y Ediciones S.L., Madrid, 2004, p. 154.
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