L’anno bisestetico 2020 iniziato mercoledì sarà dato alle fiamme nella storia dell’umanità dalla trasmissione incontenibile, ai cinque continenti, del virus SARS-CoV-2, che causa covid-19, uno spread iniziato in Cina nel corso del 2019.
Covid-19 ha mietuto molte vittime e testato, nella gestione delle crisi, governi e stati di società molto diversi: dai più democratici e aperti, ai più autoritari e chiusi.
Ma ci ha anche messo alla prova, che stiamo vivendo un’esperienza inedificata e inimmaginabile, e non sappiamo esattamente quando e come finirà questo incubo. Né cosa verrà dopo che sarà finita.
Molto è stato ipotizzato al riguardo, al punto da raggiungere la (quasi) saturazione del soggetto, ma non guardando la pandemia la pandemia non ci sarà più, come il dinosauro di Monterroso. Ogni giorno ci aliamo e mentoamo per la sua ombra.
Come altre pubblicazioni hanno fatto, abbiamo voluto consultare l’opinione di un gruppo di intellettuali per informarsi sulle loro esperienze particolari durante tutto questo tempo, per sapere come l’hanno trascorso, come sono trascorse le loro giornate, cosa pensano di questo presente e cosa si aspettano dal futuro, come lo immaginano.
QUANDO CREDIAMO CHE UMANAMENTE TUTTO SIA PERDUTO, LA MANO DI DIO È TESA FINO A NOI
Ivette Fuentes de la Paz
Ivette, come hai vissuto questi mesi di lockdown? Ne hai fatto il massimo?
“Beh, sì, non farlo sarebbe stato perdere un tempo che sarebbe successo comunque, ci sarebbe piaciuto o no. Il tempo è un investimento, quindi dobbiamo viverlo nel modo più redditizio possibile, anche se il contesto in cui trascorre non ci piace. È stato molto difficile, perché nel mio caso vivo da solo, quindi ogni volta che parlano di un confinamento “familiare”, sento la maggiore solitudine di non averlo con me. Ma il lavoro e la consapevolezza di avere una responsabilità mi hanno aiutato, così ho cercato di far avanzare il lavoro della rivista (Vivarium), di scambiare con gli studenti in questa forma obbligatoria di corso “remoto”, e di far avanzare i miei scritti. Anche se, naturalmente, quella cosa del “lockdown” non è totale, come in teoria dovrebbe essere, perché sopravvivere “bloccati” va oltre un buon scopo per diventare un paradosso, perché se non andiamo fuori di casa a cercare sostegno alimentare, come sopravvivere a questa situazione. Forse le peggiori sono state le contraddizioni tra ciò che deve essere fatto e ciò che “deve essere fatto”.
C’è una conclusione che avete fatto, in termini esistenziali, spirituali, religiosi, che volete condividere?
“Ci sono molte conclusioni che possono essere raggiunte, e la prima è vedere la fragilità delle strutture sociali, statali, di gruppo, che stavano regolando un’eccessiva dipendenza dell’uomo da loro, per rendersi conto che ciò che lega veramente la persona al mondo, è il suo spirito, la sua grandezza come individuo, che è in definitiva il legame unico che lo sostiene in lui , attraverso il suo rapporto unico e particolare con Dio. Dal bene all’inizio, non preparato, senza sospettarlo, la natura ci getta una palafitta con cui paesi, sistemi, organizzazioni complete, inciampano e ci fanno cadere e ci portano a ripensare tutto. Ma la prima cosa che ci costringe è dimenticare tanta esterità per entrare in noi stessi, sia fisicamente, biologicamente, che spiritualmente. L’umanità ha dovuto ripensarsi, non solo come elemento integrante di questo tessuto sociale che ha ideato, con tanti erquivocali, ma come individuo, di vederci nella parte interiore, di salutare le sagge parole di sant’Agustin quando disse che dentro di sé abita Dio, il suo apotegma intimiortimo meo , che ci aiuta a trovare risposte a tante domande che possono sopraffarci oggi. E quando ci rivolgiamo a noi stessi in cerca di risposte, è a Lui che troviamo di darle a noi. Questa è stata la grande lezione.
Quali insegnamenti potrebbero lasciarci, come esseri sociali, questa volta di clausistere?
“Per prima cosa è capire che sì, siamo esseri sociali e abbiamo bisogno che gli altri completino ruoli, missioni, compiti, ma dobbiamo anche imparare a stare con noi stessi, che è ciò che quasi mai sappiamo fare confondendo quell’intimità con la solitudine, specialmente in un paese così sfidato nel tumulto e nei conglomerati. Questi mesi di “coagulazione” (anche se continuo a scaldarla) ci hanno insegnato a vedere la vita dall’allontanamento necessario, ed essere “fuori dal gioco” ci fa considerare da un’altra prospettiva, di valutare le situazioni in un altro modo, che è rivalutarle e, soprattutto, vedere meglio le cose essenziali e non i momenti che alla fine fanno vivere la vita come una circostanza piena di legami altrettanto circostanziali. , e non come il miglior dono che Dio ci abbia mai dato, e questo lo rende un insieme all’interno di un grande universo. In questa attesa, il tempo ha assunto un altro valore, perché lungi dalla fretta di vivere al di fuori di noi stessi, siamo arrivati a capirlo e analizzarlo meglio. Poter vivere la nostra intimità, al di là degli argomenti “sociali” che a volte sono solo catene comandate, ci ha permesso di ridimensionare le nostre forze come persone, vedendo, nel bel mezzo di un cataclisma mai vissuto prima, che il mondo è molto più di una questione che viene proiettata, di essere uno spirito (il “cuore della materia” direbbe Teilard de Chardin) che salva sempre. In questi giorni in cui di fronte al gran numero di malati e defunti tanto si è temuta l’impotenza dell’essere umano, mi viene in mente una bella parabola di speranza che era il film Quando tutto è perduto, diretto – e recitato – da Robert Redford, dove c’è il crescente abbandono e disperazione di un uomo dopo un naufragio in totale solitudine , che è quello che si esprime cinematograficamente nella totale mancanza di dialogo, una parola amichevole che non esiste. La lotta è denotata, e alla fine l’uomo si arrende perché pensa di non poter più combattere e non sopravviverà, perché tutto è già perduto. I due o tre minuti che chiudono il film, valgono il lungo filmato che è stato riempito di angoscia e paura. Il protagonista, sconfitto, affonda nel mare ed è quando appare una luce dalla superficie – proveniente dalla lanterna di alcuni marinai – che gli dà nuova forza e a cui si alza. Quella luce diventa la mano che lo salva dalla morte, in una ricreazione cinematografica di incredibile e bella plasticità, della Creazione di Michelangelo. Dobbiamo saper cercare la luce che dà la vita e sapere che quando crediamo che umanamente tutto sia perduto, la mano di Dio sta mentendo su di noi”.
Come si vive il futuro post-pandemia?
“Ci penso in modo positivo, perché quel futuro dipende da noi stessi. Se pensiamo che non ci sarà, allora sarà impossibile rifarlo. Non possiamo essere portati via dal disfattismo o da una stretta dipendenza dagli altri che reinventano il nostro futuro. La storia è fatta per tutti, quindi la soluzione è ugualmente di tutti. Abbiamo visto molte eroismi nel mondo, soprattutto per il senso di solidarietà delle persone nate dalla compassione e dalla fratellanza. L’uomo capirà che tutto è un legame invisibile che ci lega, e ogni vita condizioni la forza di quella relazione. Un gesto gentile, un sorriso, un atto di gentilezza, può decidere l’inclinazione delle squame. Barriere, confini, una malattia hanno completamente devastato il mondo, l’hanno penetrato attraverso una delle sue crepe – sufficienze, egolats, posizioni aggressive sull’ambiente e sulla natura, disarmony – e hanno dimenticato le disdelineanze della ricchezza e della povertà, perché ha attaccato gli esseri umani dalla sua condizione che non ha nulla a che fare con la sua imlat sociale e meno politica. I governi possono e devono fare molto, ma purtroppo si vede che le migliori intenzioni sono spesso infrante quando fanno la lunga strada nei casi. Ed è allora che l’atteggiamento individuale diventa decisivo. Il vicino, l’amico, l’ignoto fino ad allora, quello che aiuta senza chiedere, è quello che ringrazio di più perché è lui che ricompone le frantumi e le rivase in nuovi visti di relazioni sociali, basati sul più essenziale della loro umanità. Credo che il futuro post-pandemia sarà meno politicizzato e umanizzato, e quindi meno dipendente dalle ringiogazioni dei governi e di altre strutture di potere ingannevoli. Tutto deve essere diverso, perché l’umanità stessa sarà stata purificata vedendo allo scoperto “la causa di tutti i suoi mali”. Sarà tempo per gli homo luden di spostare i loro chip e svolgere un ruolo più consapevole nel mondo.
Ivette Fonti della Pace
Saggista, narratore, editore, ricercatore letterario, insegnante. Dottorato di ricerca in Scienze Filologiche. Dirige la Cattedra di Studi Culturali Vivarium, e l’omonimo magazine, del Centro Culturale Padre Félix Varela.
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