DALLA BIBBIA: Gesù e le parabole

Nei loro soliti commentari al Torá, gli insegnanti contemporanei dell’ebraismo di Gesù usavano la parabola come metodo pedagogico di insegnamento morale e spirituale. Molti sono conservati negli scritti rabbinici in cui usano le immagini della vigna, del pastore e delle pecore, del tesoro nascosto, dell’invito al banchetto, che abbiamo visto nell’articolo precedente. Questo era un modo per illuminare passaggi oscuri della Bibbia alla luce delle situazioni vitali degli ascoltatori. Dio era il protagonista nascosto in ogni racconto che, come Padre, Giudice o Re, offriva una soluzione amorevole e giusta al problema posto.
Così la parabola divenne la cerniera che collegava e articolava il trascendente con il mondo immanente e spirituale con la realtà terrena; Dio con l’uomo. E lo ha fatto con immagini concrete, suggestive e stimolanti. Per quel sottile gusto ebraico per paradosso, enigma o racconto non c’era soluzione migliore per svegliare l’attenzione dell’ascoltatore. Ecco perché molti iniziano con una domanda: “Cosa ne pensi…?” (Mt 18.12); “A cosa lo confronterò…?” (Lc 13.20).
A volte la parabola nasce come un confronto preso dalla natura o dalla vita di tutti i giorni che potrebbe essere legato a un proverbio. Gesù pronuncia parte della sua cultura che sicuramente tutti saprebbero: “Ovunque si trova il cadavere, gli avvoltoi si riuniranno lì” (Mt 24,28); “Se un cieco guida un altro cieco, cadrà entrambi nel buco” (Mt 15,14); “Una lampada non è accesa per essere posta sotto la celemina” (Mt 5.15). Più tardi lo sviluppo di uno di questi confronti grafici potrebbe portare a una parabola, a volte molto breve, come quelle del tesoro nascosto (Mt 13,44) o delle pecore perdute (Lc 15,4-6), altre volte più lunghe, alla maniera di un racconto, come quello del seminatore (Mt 13,3-9) o quello del figliol prodigo (Lc 15:11-32).
Ma per quanto belle possano essere, le parabole non si esauriscono nella loro evocazione poetica, sono sempre un invito a prendere una decisione seria e concreta per il futuro, perché ci insegnano a contemplare con gli occhi della fede la vita quotidiana. Così, per quanto insignificante, scopriamo una realtà invisibile che si mente di far emergere la nostra coscienza. Le parabole fanno un confronto tra un fatto noto agli ascoltatori e un fatto invisibile che invade la vita di tutti i giorni trasfigurandola. La vicinanza del Regno di Dio ci invita a riflettere profondamente sul nostro comportamento personale e sociale.
Le parabole portano densità, profondità e dilatazione nel nostro universo personale contratto, perché ci aiutano a connetterci con tutti e con l’Intero in modo critico. In questo modo, risveglia la nostra capacità di discernimento e conversione personale al fine di confrontare la nuova realtà del Regno con le nostre fantasie del futuro, così spesso viziate da impegni e progetti frustrati. In questo modo, le parabole danno corpo e consistenza alla speranza messinica. Ecco perché Gesù dice: “Il Regno di Dio è come…” (Lc 13.19); “Il mio Regno non è di questo mondo…” (Jn 18.36); “ma è già tra voi” (Lc 17,21).
Gesù non offre alcuna definizione teologica del Regno di Dio; le sue parabole semplicemente suggeriscono di sedurci con la sua presenza. Così, quando i farisei gli chiedono: “Quando viene il Regno di Dio?” (Lc 17,20), la vostra risposta è sconcertante: “Il Regno di Dio non viene visibilmente, e non si può dire: ‘Egli è qui’ o ‘Lui c’è’, perché il Regno di Dio è tra voi” (Lc 17,20-21). Il Regno di Dio è il grande centro di gravità del ministero pubblico di Gesù. Tutto ciò che ha fatto attraverso discorsi, detti, guarigioni, resurrezioni e parabole ha a che fare con questo.
L’accettazione o il rifiuto, la presenza o la venuta di quel Regno di Dio, sono al centro di tutte le sue parabole. Non importa se ci parla di misericordia, perdono, salvezza, preghiera, discepolato o qualsiasi altra dimensione della vita cristiana. Tutti si riferiscono immabilmente al Regno che ci è stato misteriosamente reso noto, anche se come un enigma (Mc 4:11).
La sua grande ricchezza teologica non è in ciò che dice letteralmente, ma in ciò che rimane al di là della nostra comprensione, in ciò che ci suggerisce, in quella capacità di aprirsi continuamente a nuove prospettive che non finiremo mai di scoprire e meditare. Pertanto, i lettori di tutti i tempi si sentono sfidati da loro mentre meditano su di loro, perché hanno applicazioni inesauribili per la nostra vita personale, familiare, comunitaria e sociale. Oggi, dopo secoli di dichiarazioni, le parabole di Gesù rimangono un monumento letterario all’interno del Nuovo Testamento. Ω

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