Dalla Bibbia: Le parabole e il Regno di Dio

Il Nuovo Testamento testimonia che, in Gesù, Dio ha mantenuto la promessa che aveva fatto fin dai tempi antichi ai patriarchi e ai re; e che i profeti si erano trasmessi da una generazione all’altra dei credenti. Il Signore, nel suo ministero pubblico, non ha dato ai suoi ascoltatori una definizione del Regno di Dio, perché avrebbe superato la nostra comprensione, ma lo ha reso evidente attraverso i suoi miracoli e le sue parole, specialmente le sue parabole. Il Regno di Dio non è immediatamente visibile a chiunque guardi, ma solo a coloro che lo fanno nella fede, perché questa rivelazione non dipende dalla carne o dal sangue (Mt 16,17), ma dal Padre.

Certamente, le parabole ci rendono ascoltatori che riflettono sulla presenza di Dio nella storia. Di fronte a loro il lettore può sentirsi sfidato, al punto da essere irritato e chiuso, o incuriosito e arreso, ma non lo lascia mai indifferente. Le parabole ci seducono a prendere una decisione sul futuro della nostra speranza. Fin dall’inizio del cristianesimo, ogni credente ha dovuto interpretarli dalla propria vita e da quella della sua comunità.

Gesù ha assicurato di avere questa suggestiva capacità utilizzando immagini della vita reale per comunicare i segreti del Regno: un mercante di belle perle (Mt 13,46), una rete gettata nel mare (Mt 13,47), un tesoro nascosto in un campo (Mt 13.44), cerimonie nuziali (Mt 25.1-13), un banchetto nuziale (Mt 22.2-10), denaro affidato in assenza del maestro (Mt 25.14-30) , viticoltori generosamente contratti (Mt 20.1-16), un seminatore che versa grano nel terreno (Mc 4.26-29), un grano di senape (Mc 4.30-32), ecc.

Come buon pedagogo, rivelò i segreti del Regno senza mai definirlo specificamente: “A cosa paragoneremo il Regno di Dio o a quale parabola lo esporremo? È come…” (Mc 4.30), e lascia aperta all’immaginazione questa misteriosa realtà che solo i single a cuore percepivano rapidamente come una buona notizia (Mt 11,25; Lc 10.21). Mentre gli orgogliosi, gli autosufficienti, gli invidiosi, gli ipocriti non riuscivano a capire.

L’espressione Regno di Dio appare 109 volte e nei quattro vangeli. Ai tempi di Gesù doveva fare così tanto con la regalità stessa, con tutto ciò che significava indipendenza politica dell’invasore romano e splendore economico e religioso. Così come con il riconoscimento della sovranità universale di Dio. Questo era un Regno visibile e invisibile allo stesso tempo. Il Regno che Egli rivelò con le Sue parabole e opere non era una realtà futura alla quale dovremmo rivolgerci, ma una realtà già presente tra noi, ma che deve essere gradualmente aperta. Come altri misteri della fede, anche il Regno è un dono di Dio e del nostro compito.

Pertanto, allo scriba che rispose che l’amore per Dio e per il prossimo valeva più di tutti i sacrifici del Tempio, Gesù dice: “Non sei lontano dal Regno di Dio!” (Mc 12.32-34). Questa impossibilità di limitarlo spazialmente non significava che fosse solo una realtà spirituale. Perché Gesù si presenta come il segno vivente di quel Regno che egli proclama con gesti concreti: “Se per spirito di Dio ho cacciato i demoni, è che il Regno di Dio è venuto a voi” (Mt 12,28). Quando i farisei gli chiedono: “Quando viene il Regno di Dio?”, la sua risposta è: “Il Regno di Dio viene senza essere sentito. E non diranno, guardatelo qua o là, perché il Regno di Dio è già tra voi” (Lc 17,20-21). Egli stesso è il seme di quel Regno seminato nella nostra vita sterile. Marco inizia il suo Vangelo con un invito laico: “Il tempo è stato compiuto e il Regno di Dio è vicino; diventano e credono nella Buona Novella” (Mc 1,15).

Gesù chiarisce la venuta del Regno predicando per le città (Lc 8,1). Mangia con gli esclusi, accoglie le prostitute, guarisce i malati, perdona i peccatori…: tutti questi gesti concreti sono parabole in azione, che manifestano che nella sua persona il Regno d’Amore è venuto da noi e che Dio esercita la sua regalità sulla terra (Lc 9,11). Ha cessato di essere un sogno a lungo amato, di diventare una realtà tangibile, che bussa alla nostra porta e ci aspetta per aprirla per entrare in casa nostra (Ap 3.20). In questo modo, quella dimensione assolutamente trascendentale della presenza di Dio è entrata nei nostri cuori e nella nostra storia illustrando questo incontro unico e irripetibile dell’eternità nel tempo, in cui “… cielo è unito alla terra, all’umano e al divino” (dal Pregón pasquale). Ω

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