Memorie dell’Avana nelle memorie del sottosviluppo

Pello l’Afrokán, il mozambicano, il popolare festival ballabile, l’omicidio e lo sguardo posseduto e provocatorio di una giovane donna il cui Africania ha piantato una provocazione alla macchina da presa, sono le prime immagini del film che, mezzo secolo dopo, rimane il gioiello più prezioso del cinema cubano. Senza dubbio, sarebbe la nostra migliore lettera di presentazione in qualsiasi forum sulla settima arte che ha rivolto lo sguardo agli anni ’60.

“Una voce fredda, senza speciali inflessioni meccaniche, leggerà un verbale raccolto dalla polizia in occasione del ritrovamento di un cadavere in un appartamento a Vedado nei tanti giorni dell’ottobre 1961. Il corpo mostra segni di avvelenamento e si presume che sia il risultato di un suicidio. Tra i documenti trovati (alcuni possono essere elencati) e che possono interessare la ricerca, c’è un diario.”1

Inizia così la sceneggiatura originale, scritta da Edmundo Desnoes e Tomás Gutiérrez Alea (Titón), e basata sull’omonimo romanzo dello stesso Desnoes. Tuttavia, chi ha visto il film sa che questo frammento, dove si parla di un certo cadavere, non può che riferirsi a Sergio, il protagonista. E sanno, inoltre, che non è vero: Sergio non si uccide mai nella versione finale del film, che introduce letture molto diverse da ciò che il suo personaggio rappresenta. Insomma, Memoirs… affronta momenti della vita di un borghese, la cui famiglia lascia l’isola alla vigilia della crisi di ottobre, mentre rimane un osservatore lontano e sconcertante. Tra il testo letterario, la sceneggiatura e il film non c’è grande distanza, anche se il film permette di ricreare situazioni che non erano state precedentemente descritte.
Una sceneggiatura indica anche alcune cose, superficialmente, che è poi necessario specificare prima e durante il processo di creazione del film, e anche più tardi, durante la postfilmatura, in particolare al momento dell’assemblaggio. La direzione artistica di un film è uno di quei processi raramente specificati nella sceneggiatura, ma che deve essere meticolosamente assunto durante tutta la produzione del film.
La direzione dell’arte o del design artistico è l’attività da cui viene costruito e decorato un palcoscenico, viene ricreato un ambiente, gli oggetti vengono fabbricati o gestiti, i costumi sono consigliati e il trucco e il parrucchiere dei personaggi sono supervisionati; cioè, le componenti immaginarie di una messa in scena si materializzano, pronte per essere filmate. Interviene anche nella post-produzione, oggi soggetta anche a manipolazioni digitali.
Sebbene film di altissima qualità siano stati prodotti a Cuba intorno al 1968, non c’era né il direttore artistico tra noi né un dipartimento che si occupava espressamente di garantire che questo compito riguarda questo compito, come era consuetudine in altre cinematografie. Nel caso specifico di Memorie di sottosviluppo appaiono nel supporto tecnico, nel design del costume e nel decoratore (Julio Mantilla), trucco e parrucchiere. Non si fa menzione di un titolo per lo scenario. E, naturalmente, la posizione di art director non è mai arrossita. Come hanno fatto allora lo scenario, gli elementi architettonici, il design del personaggio e l’atmosfera a diventare un magnifico supporto per la storia? Come costruire la coerenza visiva e la ricchezza semantica delle sue immagini?
In Memorie… la direzione artistica è assunta tactatly dallo stesso Titon, come un fatto implicito e una parte sostanziale delle sue responsabilità di regista. L’usanza di girare in luoghi naturali, precedentemente intimoriti, riduce i costi, ed è il risultato di una strategia di produzione cinematografica che era stata provata con successo sia nel neorealismo italiano che nella New Wave. Infatti, parte dell’attività della direzione artistica è quella di allenare la memoria visiva, registrare memoriticamente luoghi e spazi in cui la scena di un film può potenzialmente essere girata.

Momentos de la peícula cubana "Memorias del subdesarrollo"
Momenti dal ciottolo cubano “Ricordi del sottosviluppo”

Si può dire che Memorie… è stato girato principalmente in ambienti naturali: l’aeroporto e Rancho Boyeros Avenue; Via Galiano, i suoi negozi e librerie; Parco fe del Valle; le strade del Vedado; Scuola Lasalle; il quartiere di Colombo; Giardini tropicali; La piscina dell’hotel Riviera; la Rampa; il Museo Nazionale di Belle Arti; Hemingway House Museum; l’ufficio e la sala proiezioni dell’ICAIC, del Malecon, ecc.
Una location importante è l’appartamento di Sergio: “I mobili nella stanza – solo una dozzina di parole nel testo – saranno costati circa cinquemila pesos”, ricorda Desnoes.2 Secondo la sceneggiatura doveva essere un appartamento duplex, moderno, ben assemblato, senza troppo lusso, buoni mobili, ma di gusto americano; dipinti dei più famosi pittori cubani: Amelia Peláez, Raúl Martínez, René Portocarrero, Wifredo Lam, nonché foto di famiglia incorniciate; riviste (Vogue, Life, Harper’s, Bazaar), un discografico, una caffettiera italiana, tra gli altri oggetti. L’appartamento si distingue per le sue grandi finestre, pareti-vetro dove la luce del giorno penetra liberamente, che rivela che Sergio è un uomo aperto alle idee, alla conoscenza, al libero mente, senza tethering, senza dottrine, ma è anche un simbolo dello status economico e sociale del personaggio.
Alcuni degli spazi urbani catturati dalla lente mostrano già il deterioramento e i clamorosi cambiamenti avvenuti dopo il trionfo della Rivoluzione: una dimora borghese trasformata in sede diplomatica; la scuola conventuale si trasformò in una stazione di polizia; il Collegio delle Suore (dove studiò la fidanzata di Sergio) si convertì alla Scuola Speciale Lenin; manifesti, cartelli, cartelloni pubblicitari che proclamano il nuovo immaginario della società cubana.
In una delle sequenze iniziali, la fotocamera descrive un percorso che include immagini ed etichette sul COR, emulazione e vari momenti di iconografia filistea. Quella vetrata che mostra un busto di José Martí, accompagnato da un bufalo con fiori artificiali e un cartello che ripete un pensiero martirizzato distorto: “Il nostro vino è aspro, ma è il nostro vino”. In quella stessa vetrata appare una bambola e una frase incompiuta di un discorso: “Se siamo imposti dalla guerra…”, accompagnato da un manichino e dalla foto di Fidel. Un’altra vetrata reca un segno enigmatico che recita: “Aquilimbo. Questa unità sta emulando il rispetto della Regola d’Oro. Un’altra immagine del leader centrale nascosta da una tenda che cade scivolando sopra l’immagine. Una foto di Martí, molto sfocata, in un’altra vetrata. Un trittico, nelle cui nicchie si trova un’immagine di Fidel, una bambola nuda sulla testa di un’altra immagine di esso, e un dipinto raffigurante Cristo e la Madonna. Questa era, grossolanamente, l’interpretazione visiva di ciò che la sceneggiatura nota come: “Avrebbe viteto con poche cose e alcuni ornamenti “rivoluzionari”. Ricordiamoci che parallelamente alle immagini, il monologo di Sergio è integrato, quasi sempre come contrappunto ideologico a quello che stiamo vedendo. E quando alla fine di quel frammento appaiono facce piatte, tese, tristi, umili, stanche o indifferenti, Sergio prende la distanza prudenziale e dice: “Non sono come loro”.

Come preda dell’essere un uomo colto e informato, Sergio visita il Museo Nazionale di Belle Arti portando Elena con sé. Questo spazio convertito in un set cinematografico sta formando un’idea di ciò che accade a livello di messa in scena e contribuisce a dare un significato specifico alla storia. Sergio si lamenta dell’indifferenza intellettuale di Elena, mentre vediamo il suo tacco che passa, con un tono di perreta contenuto, mentre la sua figura è attratta sul retro della galleria, come elemento invasivo ed emotivamente decontestualizzato. Questo crea un senso di negazione e rifiuto tra figura e spazio a livello narrativo. In questo senso l’osservazione di David Bordwell può essere aggiunta: “Non è che la fotocamera scelga la posizione migliore da cui catturare un evento esistente in modo indipendente; le figure, l’illuminazione, la posizione e i costumi sono stati costruiti in modo tale da avere senso solo da certi punti di osservazione. Di fronte a un dipinto di Acosta León, Elena interrompe lo sforzo di Sergio di spiegare il contenuto dell’opera, dedicandolo piuttosto a fissare la cravatta.
La seguente sequenza è sviluppata al Museo della Casa Ernest Hemingway, a Finca La Vigía. Questo spazio viene ricreato in modo più dettagliato, ed Elena si muove al suo interno interrogando la legittimità di tale gerarchia. All’inizio, nonostante la sua manifesta ignoranza, acquisisce autorità quando stabilisce giudizi attraverso i quali confronta e qualifica lo spazio. È l’unica volta che Sergio e lei eguagliano da diversi punti di vista. C’è rifiuto e negazione da parte sua quando identifica gli aspetti alienanti della presenza statunitense: “proprio come a Central Preston …”, Elena dice sprezzante.
Il museo Hemingway funziona come un atto che innesca la rottura tra Sergio ed Elena, prima simbolicamente, in quanto questo è stato forse l’ultimo tentativo di Sergio di stimolare o scoprire un sintomo di avidità culturale in Elena, e ha nuovamente manifestato il suo “sottosviluppo”, la sua manipulabilità, il suo disente interesse per la conoscenza. Sergio si nasconde in una stanza del museo, per schivare l’incontro con lei che, di fronte all’incertezza, parte in taxi. Non saranno più trattati come una coppia. Lo spazio dell’Hemingway House Museum ha suggellato la negazione di una storia d’amore che non può prosperare, e il rifiuto del personaggio elitario maschile, negato di assumere un iletrada Cenerentola e remisa.
La Casa Museo è anche un coadiuvante, in quanto permette a Sergio di vivere l’illusione di credersi un europeo civilizzato, a contatto con il patrimonio culturale di un romanziere di fama mondiale. È una tregua in mezzo al caos che regna intorno a lui e di cui non si sente coinvolto, anche se alla fine ne cade vittima. Anche se, come ha dichiarato Rufo Caballero: “Dopo le sue presunzioni di superiorità, la voce delle Memorie… è una voce decisamente sottosviluppata.”3
A livello pittorico Ricordi… è permesso convocare riferimenti di cultura universale disuguali come la Venere di Boticelli, la cui illustrazione Sergio accarezza con senso erotico, nelle pagine di un libro, al fumetto di Chago Armada e del suo personaggio Salomone. Tutta l’impalcatura di riferimento e tropologica del film è stata accuratamente selezionata, tenendo conto della natura drammatica di ogni momento e della ricchezza di significati che il film cerca di valorizzare. Un altro esempio è il romanzo di Vladimir Nabokov Lolita, che Sergio sfoglia in libreria, come metafora del caos che porterà il suo rapporto con Elena.
Nei minuti finali, Sergio avanza contro le raffiche di onde che si infrangono sul Malecon. È trasanduto e ojerous. Poi lo vediamo nel suo appartamento camminare avanti e indietro, nervoso, pedinato dall’angoscia e dall’impotenza. Ma non è avvelenato, come suggerisce il testo originale, ma dà risalto alle ultime immagini proposte dallo stesso copione: “Sorge. La strada. Miliziani. La gente, i manifesti. L’artiglieria schierata…”. Ω

Note
1 Arturo Arango e Juan Antonio García Borrero: Memorie di sottosviluppo. Sceneggiatura di Edmundo Desnoes e Tomás Gutiérrez Alea, L’Avana, ICAIC, 2017, p. 7.
2 Edmundo Desnoes: “Si chiamava Sergio”, in Arturo Arango e Juan Antonio García, Memorie di sottosviluppo. Sceneggiatura di Edmundo Desnoes y Tomás Gutiérrez Alea, ed. cit., pp. 143-146.
3 Rufo Caballero: “Memorie di sottosviluppo: lucidità della cautela”, in Lacrime sotto la pioggia, L’Avana, Lettere cubane, ICAIC, 2008, p. 43.

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