Nipoti virtuali e nonni solitari

Di: MARÍA DEL CARMEN MUZIO

Senza dover ricorrere ai dati dell’ultimo censimento della popolazione, proprio perché appartenenti alla generazione ultrasessantenne –quella era una ragazza nel 1959–, l’attuale solitudine di questa fascia di età è palpabile. Quando si conversa con amici comuni, ex compagni di classe trovati per caso, la maggior parte ha lo stesso dominatore comune: figlio fuori dal paese, nipoti nati all’estero. È diventato, non c’è dubbio, un problema generazionale.

La causa principale è facilmente individuabile: l’emigrazione dei giovani in cerca di migliori opportunità. Sono quella generazione cresciuta con cartoni e film russi che sono diventati studenti universitari che aspiravano a un futuro dignitoso. Purtroppo il muro e le utopie sono caduti.

L’esilio volontario in cerca di miglioramenti economici ha portato alla scissione delle famiglie, alla solitudine dei genitori – in alcuni casi rimane solo uno dei due – e anche, al fatto di privarli della compagnia e dell’affetto del nipoti.

Questa eufemisticamente chiamata “terza età” si ritrova con i suoi figli che vivono in paesi lontani, con nipoti sconosciuti la cui lingua madre, in alcuni, non è lo spagnolo.

Grazie alle meraviglie delle nuove tecnologie, le nonne e/oi nonni conoscono i propri nipoti attraverso foto digitali, cioè in maniera virtuale, un’esistenza apparente e non reale. Molti nonni li vedono dietro lo schermo del cellulare o del computer –se non li hanno, c’è sempre l’amico che si offre– senza poterli abbracciare, baciare, regalare loro i dolci che regalavano i genitori ai propri figli; Ad ogni modo, perdono la fortunata opportunità di essere padre due volte e di… viziarli, ecco a cosa servono i nonni.

C’è un fortunato gruppo che può viaggiare all’estero (opportunità ora limitata dal covid-19) per incontrare il nipote. Dopo le stressanti procedure di viaggio, compreso il volo aereo, arriva sfinito ma felice, per incontrare il nipote, quel bambino che si chiede chi sia quella signora o quel signore che è venuto a casa sua – anche se glielo hanno detto i genitori – ed è un perfetto estraneo per lui (perché ha quasi sempre altri nonni del suo paese di nascita); poi, a seconda dell’ora della visita, il bambino può conoscere il nonno (a) e perfino affezionarsi a lui… ed è in quel preciso momento che il nonno (a) deve tornare.

C’è un’altra opzione: la visita. Vengono per una settimana, o quindici giorni, per godersi le spiagge, o qualsiasi tipo di svago, non hanno altra scelta che portare i nonni a fare conoscenza con i nipoti. Ma i bambini sono abbagliati da un mondo sconosciuto, quindi prestano poca attenzione al nonno (a) che diventa un altro compagno, quello nel migliore dei casi, perché se il nonno (a) soffre di qualche malattia che lo limita, allora tutto è limitato ad una semplice visita domiciliare.

C’è un’altra terza opzione: anche il nonno (a) emigra, perché cosa farà da solo in casa… Lì farà risparmiare ai bambini i soldi per asili nido o baby sitter che costano una fortuna, e la sua vita sarà limitata alla cura dei nipoti aiuto in casa. Se il vecchio è stato un professionista attivo durante la sua vita, questo ruolo alla fine dei suoi anni non sarà molto di suo gradimento, ma potrebbe accontentarsi. Finché sei sano, tutto andrà liscio. Tuttavia, secondo la logica della vita, si ammalerà e morirà. Poveri nonni, andranno alla Casa del Signore, con la grande colpa, sulle spalle, di aver lasciato indebitati i figli.

Senza essere pessimisti, questa è la realtà della maggior parte degli anziani. Loro, i bambini, partono con la promessa che ci sono più utili al di fuori delle rimesse che possono inviarci – purtroppo alcuni no – e mi chiedo se i soldi o gli oggetti inviati con la frase di affetto, di incoraggiamento, che i bambini offrono nel tocco quotidiano.

“Cuba, prendetevi cura delle vostre famiglie!”, esortava nel secolo scorso San Giovanni Paolo II durante la sua visita pastorale all’Isola, pregandolo di continuare a rafforzarci in queste difficili circostanze.

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